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Questo articolo è stato pubblicato il 20 luglio 2011 alle ore 18:56.

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Crac Parmalat, ingannati investitori e Consob (Ansa)Crac Parmalat, ingannati investitori e Consob (Ansa)

I vertici della Parmalat hanno ingannato gli investitori e la Consob. La Corte di Cassazione ha depositato oggi le motivazioni (si legga il testo sul sito di Guida al diritto) della decisione, presa il 4 maggio scorso, con cui ha confermato la condanna a carico di Calisto Tanzi, ex patron del colosso alimentare parmense, per il crack della società nel 2003.

La riduzione della pena
Gli ermellini hanno ridotto a 8 anni e un mese la pena detentiva, rispetto ai dieci fissati con le decisioni di primo e secondo grado. La riduzione è il risultato della prescrizione dei reati commessi tra febbraio e giugno 2003, mentre a novembre 2011 si estingueranno anche i reati datati 2002. I giudici di piazza Cavour confermano sostanzialmente il diritto dei risparmiatori e della Consob al risarcimento di un danno - innegabilmente provocato dall'alterazione delle false informazioni diffuse sullo stato dell'azienda – che deve comunque essere determinato dal giudice civile.

Colpevolezza confermata
La Corte esclude nelle motivazioni la possibilità di ipotizzare, per Tanzi come per gli amministratori che con lui hanno presentato ricorso, un'assoluzione nel merito, in un disastro finanziario che è il risultato di un «combinato disposto» tra gli illeciti del management e la connivenza delle società di revisione. Non passa il vaglio della Cassazione l'eccezione sulla competenza delle corti milanesi, visto che – a parere del supremo collegio – da Milano e non da Collecchio sono partite le comunicazioni aziendali con i dati alterati.

Il danno degli investitori
La Cassazione respinge anche l'accusa, rivolta alle Corti di merito, di aver violato i diritti della difesa respingendo la richiesta di sentire uno per uno i 32 mila investitori danneggiati. Esigenza che nasceva dalla necessità di verificare se realmente la scelta di impiegare il proprio denaro nella società fosse stata presa dopo la diffusione dei falsi comunicati o fosse il risultato di una spregiudicata condotta degli operatori finanziari o delle banche, desiderose di disfarsi di titoli ormai inservibili. Ma anche il diritto di difesa trova il suo limite nell'esigenza costituzionale di fare un processo in tempi ragionevoli, senza contare – aggiunge il collegio – che anche la verifica di altri condizionamenti non escluderebbe il rapporto causa-effetto contestato agli imputati.

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