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Questo articolo è stato pubblicato il 24 luglio 2011 alle ore 15:13.
Raffica di aumenti estivi per le sigarette. Da ieri, con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n. 170 del decreto del direttore per le accise dell'Azienda autonoma dei Monopoli di Stato, il prezzo di vendita al pubblico di oltre 250 prodotti commerciali del gruppo Bat (i più noti Camel, Ms, Fortuna, Lucky strike, Pall Mall) è stato incrementato di 10 centesimi a pacchetto. Tre settimane fa – per la precisione l'11 luglio – lo scatto era stato deciso dal gruppo Philip Morris, e come prassi ratificato dai Monopoli, per un altro centinaio di etichette (tra cui Marlboro, Merit, Diana, Multifilter e Philip Morris).
Anche se formalmente decisi dai produttori – quest'anno sono già 12 i rincari passati per i decreti del direttore delle accise – le mini stangate ai forzati del fumo oltre, e più, che seguire l'andamento dei prezzi di mercato portano acqua al mulino fiscale dello Stato. Basti considerare che l'incidenza di imposte e tassazione sulle "bionde" supera abbondantemente i due terzi del prezzo, e in misura diversa colpisce pesantemente anche il tabacco sfuso e i sigari.
Solo per esemplificare, fissato in maniera convenzionale un prezzo 100 per le sigarette, e arrotondando le percentuali ai valori medi, il 58,5% del prezzo verrà versato nelle casse dell'erario a titolo di accisa, il 17% finirà ugualmente allo Stato per il pagamento dell'Iva, mentre solo il 10% è l'aggio del venditore (cioè il tabaccaio) e il 14,5% costituisce l'incasso per il produttore. Più in generale, complessivamente lo Stato incassa ogni anno circa 13 miliardi di euro in fiscalità dalle sigarette, un target che viene raggiunto su un fatturato complessivo di circa un quarto superiore.
Gli aumenti al prezzo di vendita al pubblico, di fatto, garantiscono per larga parte il "socio occulto"– Stato, che a parità di prezzi di vendita e di consumi stazionari per ottenere la posta di bilancio potrebbe intervenire con un incremento percentuale dell'imposta al consumo (accise) e quindi anche dell'Iva, eventualità vista come tra le peggiori per i player del mercato italiano del tabacco.
Nonostante facili luoghi comuni, tra l'altro, l'entrata del capitolo "bionde" è tra le più blindate per l'Erario, considerato che il contrabbando di sigarette nel nostro Paese, secondo stime dell'istituto Nomisma (il primo studio sul tema in Italia), non arriva al 4% del mercato. Nel 2010 sarebbero circolate in Italia poco meno di 3 miliardi di «bionde» illegali (meno del 4% del mercato), con un danno alla filiera del tabacco di oltre 650 milioni di euro, di cui 485 milioni sottratti all'erario.
Secondo le associazioni di categoria dei tabaccai, la scarsa incidenza del contrabbando – nonostante una fiscalità altissima, che rende molto remunerativa l'attività illecita – è dovuta alla filiera di distribuzione, organizzata su 56mila punti vendita controllati mediante il sistema delle autorizzazioni.
Il maggior deterrente all'intrusione dei prodotti di contrabbando nella filiera è proprio il rischio di revoca dell'autorizzazione in caso di violazione degli obbighi verso l'amministrazione dello Stato. Probabilmente le garanzie di incasso fiscale sono state anche il motivo per il quale, nell'ultima manovra, il governo ha rinunciato all'ipotesi di parziale liberalizzazione delle vendite, un sistema che, addirittura nella rigorosa Germania, permette una più facile penetrazione dei prodotti "de-fiscalizzati" in arrivo dalla Cina.
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