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Questo articolo è stato pubblicato il 29 luglio 2011 alle ore 06:42.

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MILANO
Nel tentativo di uscire dalle secche aveva flirtato anche con l'emiro di Dubai, che sembrava interessato a comprare aree in città per far produrre formaggi a imprenditori cinesi, ma anche dopo prospettive tanto internazionali la bandiera bianca sembra il destino segnato per la Spip del Comune di Parma. Pilastro della grandeur in salsa parmigiana, la Spip doveva acquistare, trasformare e rivendere terreni da destinare a insediamenti produttivi (di qui l'acronimo), ma il mix tra progetti arditi e gelata del mattone ha rotto il gioco. Risultato: un centinaio di milioni di debiti (il 95% con le banche), cioè la metà dei 201 milioni di rosso della Holding Stt secondo i calcoli comunali, e avvio verso il concordato preventivo, in cui il giudice prende per mano quel che resta della società e prova a trattare con i creditori.
Era una delle protagoniste dei sogni di gloria cullati in Comune, tutti puntati sulle scommesse sul business del mattone sgonfiato dalla crisi, ed è quindi inevitabile che la Spip diventi ora una delle prime vittime del tentativo di fare macchina indietro e salvare il salvabile, certificato ieri dall'assemblea della Stt, la holding delle partecipate parmigiane. Oltre al concordato per Spip (e alla vendita di Alfa, nata nel 2009 per realizzare un'area di logistica e ricerca nell'ex mercato del bestiame), il resto è una ricetta lacrime e sangue, con due ingredienti chiave messi nero su bianco dai nuovi piani industriali: addio ai progetti troppo ambiziosi, cancellati appena possibile con un tratto di penna, nuove richieste alle banche sui programmi ridimensionati (12 milioni; per salvare anche la Spip ne sarebbero serviti almeno il triplo), e ricapitalizzazione delle società da parte della capogruppo. Tra le ipotesi c'era anche quella di girare alle in house in affanno un po' della liquidità del Comune, sulla falsariga di quanto avvenuto nel passato recente con la cessione di patrimonio, ma giusto ieri la sezione regionale della Corte dei conti ha depositato una delibera in cui ricorda al sindaco Pietro Vignali (Pdl) che l'operazione è impossibile. La liquidità del Comune, ricordano i magistrati contabili citando un mare di precedenti, va impiegata per migliorare i conti dell'ente, «individuando con gara il prodotto finanziario più conveniente», e non per salvare le società.
Dopo tanto sognare, quindi, l'austherity sembra l'unica via per riportare in terraferma l'impalcatura del «Gruppo Comune di Parma». Lo sa bene la Stu (società di trasformazione urbana) della stazione che, rivitalizzata dall'apporto di 65 milioni di euro in azioni Iren, a quanto si apprende dovrà comunque dire addio a progetti per 60 milioni. Lo sa ancora meglio il Comune, che rinnova l'esperienza vissuta con la metropolitana e dovrà dire addio, secondo alcune stime, a interventi progettati per oltre 100 milioni di euro su più anni. Basterà? No, perché tra i numeri da rimettere in ordine c'è anche la spesa corrente del bilancio 2011, dove l'assestamento in arrivo per allineare entrate e uscite vale 4,2 milioni di euro: anche qui, a quanto pare, c'entra il mattone, perché gli oneri di urbanizzazione si stanno rivelando meno generosi rispetto al previsto.
gianni.trovati@ilsole24ore.com
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