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Questo articolo è stato pubblicato il 01 agosto 2011 alle ore 08:09.

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La manovra economica prevista dal decreto legge 98 del 2011, stabilisce - con decorrenza proprio da oggi, 1° agosto 2011 e fino al 31 dicembre 2014 - un "contributo di solidarietà" a carico degli assegni previdenziali più ricchi (il testo di legge parla di "perequazione"), pari al 5% dell'importo di pensione compreso tra i 90 e i 150mila euro e del 10% sulla parte eccedente. Lo stesso decreto, convertito nella legge 111 del 2011, prevede anche, per il biennio 2012-2013, l'azzeramento dell'indicizzazione all'inflazione della parte di pensione che eccede per cinque volte il trattamento minimo (quindi, attualmente, 2.337,15 euro al mese visto che il trattamento minimo è pari a 467,43 euro).

DOSSIER SPECIALE MANOVRA 2011

All'interno di una manovra che chiede sacrifici a tutti gli italiani, il provvedimento sembra improntato al perseguimento dell'equità verticale, ossia chiede ai più ricchi uno sforzo speciale. Premesso che si tratta di una misura che riguarderà soltanto una piccola parte dei pensionati (secondo i dati Inps, solo il 2,5% delle pensioni supera i 2.500 euro mensili, e qui siamo ben oltre, per cui l'incidenza si abbassa verosimilmente a meno dell'1 per cento del totale), ci si può domandare se esistano anche altre motivazioni a sostegno di questa scelta. Una risposta affermativa viene proprio dalle modalità di calcolo delle pensioni.

Contrariamente all'opinione diffusa in base alla quale «ciascuno si è pagato o più che pagato la propria pensione», gli attuali pensionati beneficiano infatti di prestazioni che, essendo calcolate in base al generoso metodo retributivo, comportano un "regalo" a carico della collettività. Soltanto nel lungo periodo, quando la pensione sarà pienamente calcolata secondo il nuovo metodo contributivo, ciascuno riceverà, sotto forma di pensione, l'equivalente di tutti i contributi versati nel corso della vita lavorativa, maggiorati di un tasso di rendimento coincidente con la crescita del prodotto interno lordo.

Per capire come possa legittimarsi, dal punto di vista strettamente pensionistico, il contributo di solidarietà, occorre considerare che la formula retributiva avvantaggia le carriere più dinamiche, che di solito coincidono con quelle più ricche, rispetto alle carriere più piatte, che all'opposto si associano tipicamente a retribuzioni più basse. Con il meccanismo di calcolo della pensione basato sulle retribuzioni (più elevate) dell'ultima parte della vita lavorativa, il sistema previdenziale ha dunque generato (e ancora genera, in attesa che, a partire dal 2030 circa, entri in vigore completamente il metodo contributivo), una redistribuzione contraria all'equità, che la manovra intende, almeno parzialmente, correggere.

Questo "regalo" può anche essere calcolato, attraverso un indicatore sintetico della generosità delle regole previdenziali applicate alle diverse generazioni. Questo indicatore riporta, al momento del pensionamento, il "valore attuale atteso" dei benefici pensionistici ai quali l'individuo ha diritto a fronte di un "montante contributivo" (calcolato tenendo contro dei contributi rivalutati di tutta la vita lavorativa) fatto pari a 100 euro.
Un sistema previdenziale equo e finanziariamente sostenibile dovrebbe restituire al lavoratore che si ritira dall'attività esattamente quanto da lui pagato (nella nostra ipotesi 100 euro). Essendo pubblico, il sistema dovrebbe ammettere e prevedere eccezioni a tale regola soltanto per i lavoratori più sfortunati, non certo per quelli più ricchi.

Al contrario, la regola retributiva è stata generalmente prodiga, elargendo pensioni non commisurate all'entità dei contributi versati; lo è stata, inoltre, in misura variabile in base alla gestione previdenziale di appartenenza (con un netto privilegio a favore dei lavoratori autonomi) e al genere (a favore delle donne).
A fronte di 100 euro di contributi versati, il lavoratore autonomo tipo (ossia con carriera standard), che è andato in pensione con le vecchie regole, percepisce in media benefici per circa 319 euro, che diventano addirittura 356 per le donne. Un dipendente nella stessa condizione percepisce invece 159 euro se uomo, 186 se donna.

È interessante notare quello che accade all'interno della categoria dei lavoratori dipendenti del settore privato, distinguendo tra operai e impiegati (per i soli uomini e considerando diverse età di pensionamento, fra 60 e 65 anni). Gli operai rappresentano il gruppo di lavoratori con redditi più bassi e carriere meno dinamiche; gli impiegati il gruppo di lavoratori con redditi più elevati e carriere più dinamiche. A questi ultimi il sistema elargisce il regalo più consistente. Un impiegato che va in pensione a 60 anni, avendo versato 100 euro di contributi, riceve benefici per 177 euro, mentre un operaio nella medesima situazione riceve 160 euro.

I calcoli possono essere moltiplicati a piacere, ma l'implicazione generale è chiara: così com'era congegnata, la formula pensionistica retributiva avvantaggiava in misura sensibile le retribuzioni più elevate. Con un'evidente forzatura sul piano dell'equità. Si può pertanto interpretare il "contributo di solidarietà" come un "risarcimento", sia pure molto parziale, per la generosità del passato.

CeRP-Collegio Carlo Alberto
http://cerp.unito.it

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