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Questo articolo è stato pubblicato il 04 settembre 2011 alle ore 14:39.

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Sarà meno conveniente, ai fini penali, fare pace con il fisco ed estinguere il debito tributario da cui è scaturito il procedimento penale, in quanto la reclusione sarà diminuita sino a un terzo e non più sino alla metà. Ma l'estinzione del debito sarà comunque necessaria per accedere al patteggiamento e, verosimilmente, se si è evaso più di tre milioni di euro, per beneficiare della sospensione condizionale della pena.

È quanto emerge dalle modifiche alle circostanze attenuanti ed alle pene accessorie dei reati tributari contenute dagli emendamenti al decreto di Ferragosto in corso di approvazione al Senato.
Attualmente, in base all'articolo 13 del decreto legislativo 74 del 2000, le pene previste per i delitti tributari sono diminuite fino alla metà e non si applicano le pene accessorie previste se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari relativi ai fatti costitutivi dei delitti, vengono estinti mediante pagamento, anche a seguito delle speciali procedure conciliative o di adesione all'accertamento previste dalle norme tributarie (si pensi all'adesione ai processi verbali di constatazione, all'accertamento, alla conciliazione giudiziale, all'acquiescenza).

Con le modifiche in corso di approvazione viene invece previsto che la diminuzione delle pene, una volta estinto il debito tributario, non sarà più fino alla metà ma solo fino a un terzo. Ne consegue che sotto il profilo penale, almeno da questo punto di vista, sarà meno conveniente pagare quanto contestato dal fisco.
Tuttavia se il contribuente vorrà ottenere il patteggiamento dovrà obbligatoriamente estinguere il debito e quindi far ricorso a questa procedura.

In sostanza, il contribuente per poter beneficiare del patteggiamento dovrà:
• estinguere ai fini fiscali il debito tributario costituente delitto anche, come si è detto, ricorrendo alle procedure conciliative ammesse nell'ordinamento tributario;
• corrispondere le sanzioni tributarie nonostante, per il principio di specialità, potrebbero non trovare applicazione.
Va da sé che, accedendo a una delle procedure di adesione o conciliative, l'irrogazione delle sanzioni avverrà comunque in via ridotta a seconda delle regole tributarie relative allo strumento adottato.
All'articolo 12 del decreto legislativo 74/2000 che disciplina le pene accessorie, viene aggiunto un nuovo comma: nel caso di condanna per uno dei reati tributari, qualora l'imposta evasa o non versata superi i tre milioni di euro non troverà applicazione la sospensione condizionale della pena.

A ben vedere, anche questa nuova misura potrebbe essere evitata mediante l'estinzione del debito tributario. Infatti, il richiamato articolo 13 relativo alle circostanze attenuanti, non modificato in questa parte, dispone che «non si applicano le pene accessorie indicate dall'articolo 12» se si provvede al pagamento di quanto dovuto.
Poiché ora nell'articolo 12 viene inserita, oltre alle altre pene accessorie già previste, anche l'impossibilità di fruire della sospensione condizionale della pena, dovrebbe dedursi che il pagamento farebbe venir meno anche tale nuova misura.
In relazione anche a questa circostanza, se questa tesi interpretativa venisse confermata, sembrerebbe allora che in concreto, le modifiche proposte dal Governo con gli emendamenti al disegno di legge di conversione del Dl 138/11 al sistema penale tributario siano state introdotte non tanto per colpire gli evasori con la sanzione penale ma per incentivarli a restituire quanto dovuto al fisco.

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