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Questo articolo è stato pubblicato il 18 settembre 2011 alle ore 15:54.

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Tra le misure anticrisi appena adottate figura il classico intervento penale, in ossequio alla consolidata tradizione che lo vuole deterrente efficace della condotta illecita. Il Dl 138/2011, convertito dalla legge 148/2011, prevede modifiche in materia penale, (quasi) tutte concentrate nell'ambito tributario. Preso atto dell'endemica e massiva fetta di evasione, il Governo si è mosso nella duplice direzione – sostanziale e processuale – di ispessimento della disciplina di contrasto.

Mediaticamente ribattezzato con l'espressione di "manette agli evasori" (curiosamente, l'identico titolo che aveva accompagnato il battesimo del Dlgs 74/2000, cioè delle norme oggi riformate), le novità si concentrano sull'abbassamento della soglia di rilevanza per i delitti di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (articolo 3), dichiarazione infedele (articolo 4), omessa dichiarazione (articolo 5).

Proprio in seguito alla riforma del 2000, la condotta penalmente rilevante di evasione venne costruita attraverso l'introduzione di specifiche soglie quantitative, quali ideali spartiacque tra i comportamenti (al di sotto) da perseguire in sede tributaria e quelli (al di sopra) costituenti reato, in ragione dell'offensività maggiore insita nell'entità dell'evasione e in ossequio al principio costituzionale della sussidiarietà penale. E suona quanto meno bizzarro che proprio le motivazioni di politica criminale sottese alla riforma di allora (funzione selettiva del disvalore penale in grado di concentrarsi sui reali fenomeni di evasione e quindi combatterla più efficacemente) siano oggi utilizzate per il cammino inverso (abbassare l'alea per un contrasto migliore). Vuoi vedere allora che l'obiettivo reale, neppure così mascherato, non è punire, ma fare cassa? In tempi di magra, ogni incentivo è benedetto, e ricorrere al collaudato diritto penale è oltretutto intervento a costo zero.

L'altra morsa della tenaglia riguarda il fronte processuale ed è improntata al levigamento dei benefici attuali. Così, spariscono diminuzioni sensibili di pena per il delitto di dichiarazione fraudolenta e di emissione di fatture inesistenti, e l'attenuante del pagamento del debito tributario produce minore sconto. Ma soprattutto i termini di prescrizione sono ritoccati in aumento (un terzo), il patteggiamento è possibile se l'imputato ha previamente definito il contenzioso con il fisco, restituendo il maltolto, la sospensione condizionale della pena non è concedibile, quando, congiuntamente, l'ammontare dell'imposta evasa sia superiore al trenta per cento del volume d'affari e a tre milioni di euro.

Sul precipitato della mini-riforma si potrebbero dire molte cose. A cominciare dall'altalenante balletto dei termini di prescrizione, accorciati o stirati secondo contingenze occasionali, per arrivare all'eccentrico e inderogabile ostacolo alla sospensione condizionale della pena nel caso di particolare consistenza dell'evasione. Una misura a rischio di legittimità costituzionale, poiché il limite al beneficio dipende da automatismi oggettivi, in contrasto con le finalità specialpreventive dell'istituto. Ma in generale è l'impalcatura complessiva a non convincere. Il messaggio usurato della lotta all'evasione attraverso la minaccia di più reati e più pene rimane un (controproducente) slogan se alla deterrenza – come Beccaria in tempi non sospetti ricordava – non si associa la reale efficacia repressiva. In altre parole, è il perseguimento del reato, la rapidità del processo, l'effettività della pena (e non della teorica cornice edittale) la chiave del problema. Un timido segnale di speranza, peraltro, si scorge nella manovra, laddove si accenna alla razionalizzazione dell'organizzazione giudiziaria penale. Difficile dire se l'obiettivo si realizzerà, anche per resistenze corporative; ma averlo previsto è quanto meno indice di buona volontà e segnale al Paese di consapevolezza.

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TAG: Fisco

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