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Questo articolo è stato pubblicato il 27 settembre 2011 alle ore 06:42.

Le intercettazioni telefoniche e ambientali restano a utilizzo processuale ampio, almeno fino a nuovo ordine del legislatore. Proprio mentre la maggioranza torna a ipotizzare una stretta sull'impiego del mezzo di prova più dibattuto degli ultimi cinque anni, la Cassazione (Sesta penale, sentenza 34375/11 depositata il 26 settembre) ribadisce la piena utilizzabilità delle trascrizioni autorizzate per un'ipotesi di reato ma che, nel loro svolgimento, svelano un'ulteriore notizia criminis. Secondo i giudici, non è necessario che il "nuovo" reato intercettato sia tra quelli autorizzabili (in sostanza, con pena edittale superiore ai 5 anni) purché ci sia un collegamento «soggettivo e oggettivo» con la persona che si sta già ascoltando grazie al decreto del Gip.

La questione della estensibilità dell'autorizzazione era stata sollevata nell'ambito di un processo per forniture di materiale e strumentazione sanitaria in varie aziende sanitarie e ospedali della Lombardia, dove all'ipotesi d'indagine iniziale per corruzione si era aggiunta in corso d'opera anche la turbativa d'asta. Nel dibattimento la difesa aveva eccepito l'inutilizzabilità delle intercettazioni sul secondo reato, perché prive di autorizzazione del Gip che, tra l'altro, neppure avrebbe potuto essere concessa per mancanza del requisito della pena edittale minima.

La Cassazione però, confermando un orientamento consolidato, ha ribadito che «quando l'intercettazione è già ritualmente autorizzata nell'ambito di un procedimento, i suoi esiti possono essere utilizzati anche per i reati diversi ma soggettivamente e oggettivamente connessi o collegati, che siano emersi dalla stessa attività di intercettazione, anche quando il loro titolo o il loro trattamento sanzionatorio non avrebbero consentito un autonomo provvedimento autorizzativo (sentenze 39761/1; 794/96)».

Del resto, osserva l'estensore, una soluzione diversa – che cioè neghi l'utilizzabilità per i reati meno gravi scoperti durante l'ascolto – urterebbe contro una lettura sistematica delle norme processuali sui mezzi di prova. L'articolo 266 del Codice di procedura penale («Limiti di ammissibilità delle intercettazioni») «non disciplina espressamente l'ipotesi di concorso dei reati nel medesimo procedimento» per escludere l'utilizzabilità delle captazioni eseguite per reati diversi; pertanto, secondo la Sesta penale, l'espressione «(autorizzazione consentita, ndr) nei procedimenti relativi ai seguenti reati» deve essere interpretata «nel senso della sufficienza della presenza di uno dei reati di cui all'articolo 266 cpp all'interno del procedimento». Perché, aggiunge la Corte, «sarebbe paradossale dover invece pervenire alla conclusione che l'articolo 266 del cpp disciplini solo i casi in cui il singolo procedimento tratta uno solo, o più, dei reati che espressamente indica».

Tanto più che la norma che regola l'utilizzabilità delle intercettazioni (l'articolo 270 del Codice di procedura) richiede parametri diversi, cioè «l'indispensabilità per l'accertamento del reato e che si proceda per delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza», criterio «certamente non sovrapponibile né coincidente con la clausola generale dell'articolo 266 del codice».

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