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Questo articolo è stato pubblicato il 10 ottobre 2011 alle ore 06:41.

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Un passo indietro rispetto alla stretta delle manovre estive sugli studi di settore. È la richiesta che arriva da imprese e professionisti. L'aumento delle sanzioni e il rischio di accertamento in presenza di uno scostamento del 10% del reddito dichiarato rispetto a quello "ricostruito" rischiano di compromettere i rapporti diplomatici tra fisco e categorie. Una collaborazione che aveva portato a modifiche condivise negli ultimi anni. Certo, ci sono gli indicatori non incoraggianti sul fronte evasione rilevati dall'Agenzia delle entrate. Come ha ricordato il direttore centrale dell'accertamento, Luigi Magistro, i controlli effettuati in tutta Italia stanno portando alla luce i ritocchi artificiosi ai «costi residuali che consentono a molti di aggiustare lo studio per allinearsi sulla carta e fraudolentemente ai redditi presunti». Eppure le ultime norme non convincono affatto i rappresentanti del mondo produttivo.

Gli effetti sulla congruità
Claudio Carpentieri, responsabile politiche fiscali Cna, rileva un gap di coerenza tra il lavoro fatto per «rendere gli studi di settore sempre più affidabili e poi consentire più facilmente all'amministrazione finanziaria di disconoscere la congruità dei ricavi per applicare altri metodi di accertamento non condivisi». Il pericolo è «una disaffezione alla congruità dei ricavi» e – aggiunge - le modalità per raggiungere la fedeltà fiscale «non sono certo quelle di moltiplicare e intensificare le misure di accertamento ex post limitando l'efficacia delle misure di compliace».

Che fare? Antonio Vento, responsabile fiscalità d'impresa di Confcommercio, è chiaro: «È opportuno il ritorno alla normativa precedente. Si è intervenuti sulla materia unilateralmente e peraltro in modo disomogeneo. Abbiamo assistito all'aumento delle sanzioni in caso di mancata comunicazione o di falsificazione nei dati comunicati all'amministrazione e all'eliminazione della norma che obbligava l'amministrazione finanziaria a motivare il proprio comportamento, in presenza di una situazione congrua. Queste modifiche, disattendendo quanto previsto nel nuovo protocollo d'intesa, sono state percepite come una profonda mutazione delle relazioni con l'amministrazione finanziaria». Andrea Trevisani, direttore della direzione politiche fiscali di Confartigianato, mette in rilievo un problema e suggerisce una proposta: «La notevole mole di dati richiesti può portare a errori in buona fede. Considerata la gravosità della sanzione, il limite del 10% sui redditi accertati è troppo esiguo. È necessario incrementarlo adeguatamente, anche fino al 50 per cento».

Le proposte degli ordini
Sulla stessa linea i professionisti. Roberto D'Imperio, membro del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili (Cndcec), prevede che «l'inasprimento delle sanzioni non riuscirà a ottenere l'effetto voluto: creare una coscienza "etica" del contribuente per ridurre l'evasione». C'è un peccato originale nelle ultime riforme: «Equiparano gli errori formali a quelli sostanziali - prosegue - e questo aumenta i costi indiretti per imprenditori e professionisti: impiegano più tempo a compilare gli studi di settore che non le dichiarazioni dei redditi». D'Imperio ha un'idea precisa: «Bisogna anche premiare, non solo castigare. Si potrebbero garantire riduzioni e crediti d'imposta a chi ha sempre dichiarato redditi superiori alla media degli studi di settore».

Critico anche Antonio Damascelli, coordinatore della commissione per le problematiche in materia tributaria del Consiglio nazionale forense (Cnf): «L'ingresso dell'accertamento extracontabile basato esclusivamente sugli studi di settore deroga pericolosamente dal principio della necessità di presunzioni gravi, precise e concordanti. Inoltre non si distingue più se le informazioni ritenute inattendibili sono frutto di una scelta oggettiva, artatamente posta in essere dal contribuente, o siano risultato di una plausibile seppur discutibile formulazione del dato».
Marina Calderone, presidente del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro, individua ulteriori incognite: «Quel che preoccupa maggiormente è che il fisco possa eccepire l'omissione dello studio poiché non condivide la causa di esclusione indicata dal contribuente, come ad esempio quello del periodo di non normale svolgimento dell'attività». E non è il solo nodo da sciogliere: «C'è da chiedersi se il venir meno della necessità di un'adeguata motivazione in caso di accertamento da studio di settore - conclude Calderone - possa consentire al fisco di evitare un'oggettiva e analitica motivazione che tenga conto delle osservazioni del contribuente in occasione del contraddittorio. Su questo, però, c'è da dubitarne».

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