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Questo articolo è stato pubblicato il 26 ottobre 2011 alle ore 06:41.

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La data dell'acquisto è ininfluente per la delimitazione del perimetro dei beni da confiscare nell'ambito di un procedimento penale per usura: la legge (356/1992) infatti non prevede l'esistenza di alcun nesso eziologico tra i reati presupposto – tassativamente elencati dalla norma – e i beni oggetto del provvedimento, poiché il legislatore ha operato una «presunzione di accumulazione, senza distinguere se tali beni siano o no derivati dal reato per il quale si procede o è stata inflitta condanna».

La Seconda sezione penale della Cassazione (sentenza 38538/11, depositata il 25 ottobre) torna a fissare i confini del sequestro e della confisca di beni in tema di criminalità mafiosa (ma anche per altri reati, come l'usura del caso specifico) ribadendo che il «vincolo di pertinenzialità» richiesto non è quello tra la cosa e il reato – come nella confisca "classica" dell'articolo 240 del codice penale – bensì quello tra il bene e il complesso dell'attività delittuosa dell'imputato, un vincolo «connotato dalla mancanza di giustificazione circa la legittima provenienza del patrimonio nel possesso del soggetto nei confronti del quale sia stata pronunciata condanna» o applicata la pena patteggiata.

La questione portata davanti al giudice di legittimità riguardava il sequestro preventivo, disposto dal tribunale di Latina, dei beni personali dell'indagato, del coniuge e di una società immobiliare di cui l'indagato era amministratore. Secondo il ricorrente, il provvedimento preventivo del tribunale finalizzato alla confisca, tra l'altro, non era sufficientemente motivato circa il fumus e il periculum, in quanto basato sui meri indizi del Pm – e della sua consulenza –, era stato inoltre arbitrariamente esteso al passato (prima dell'accertato tempus delicti), applicato anche alla moglie e infine alla persona giuridica della srl immobiliare.

Quanto al fumus, la Corte ha ribadito che le condizioni necessarie e sufficienti per disporre il sequestro preventivo in questa materia (usura) «consistono nella astratta configurabilità del fatto attribuito all'indagato di una delle ipotesi criminose previste dalle norme citate, senza che rilevino nè la sussistenza degli indizi di colpevolezza, nè la loro gravità, e, quanto al periculum in mora (...) nella presenza di seri indizi di esistenza delle medesime condizioni che legittimano la confisca, sia per ciò che riguarda la sproporzione del valore dei beni rispetto al reddito o alle attività economiche del soggetto, sia per ciò che attiene alla mancata giustificazione della lecita provenienza degli stessi» (Cassazione 17877 /2009).

In relazione invece alle censure sul sequestro dell'intera società immobiliare intestata all'imputato, i giudici sottolineano che per chiara giurisprudenza (tra le altre, Cassazione 2737/10) il sequestro preventivo può riguardare un'intera società e il relativo compendio aziendale «quando sia riscontrabile un inquinamento dell'intera attività della stessa, così da rendere impossibile distinguere tra la parte lecita dei capitali e quella illecita».

E quanto al coniuge, sottolinea la Corte, verso di lui scatta l'inversione dell'onere della prova tutte le volte che il titolare apparente di beni (cioé il coniuge stesso) non svolge un'attività tale da procuragli il bene contestato.

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