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Questo articolo è stato pubblicato il 24 novembre 2011 alle ore 18:29.

Condanna definitiva per la "guaritrice" mamma Ebe che, curando i suoi fedeli con i farmaci, ha infranto le norme antidoping (sentenza n. 43328, si legga il testo sul sito di Guida al diritto). La "santona" di Prato ai crimini di truffa e associazione a delinquere associa anche l'esercizio abusivo della professione medica.
L'uso di farmaci dopanti
Un reato collezionato per aver cercato di "liberare" dai mali fisici e psicologici decine di persone ricorrendo all'uso di farmaci e di acqua benedetta. Le persone ricevute a villa Carpineta in provincia di Cesena venivano curate con medicine che figurano nell'elenco delle sostanze dopanti, la cui somministrazione è riservata ai medici e lecita solo in presenza di particolari patologie che ne giustificano l'uso. Ininfluente secondo gli ermellini il fatto che molti, tra i "pazienti" di Maria Gigliola Giorgini detta Ebe, sapessero che la "guaritrice" non era un medico. Il reato scatta, infatti, anche per un solo atto tipico o proprio della professione e a prescindere dalla consapevolezza e dall'adesione spontanea di chi si sottopone ai trattamenti.
La Cassazione ricorda l'attitudine alla truffa delle sette
Con la sentenza la Corte coglie l'occasione anche per ricordare l'attitudine alla truffa delle «sette aduse a carpire la credulità degli adepti» a cui vengono sollecitate offerte economiche di notevole consistenza. Il criterio per la distinzione con le attività religiose sta nell'assenza di artifizi e raggiri.
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