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Questo articolo è stato pubblicato il 25 novembre 2011 alle ore 20:40.

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IL CAIRO - Verso sera la Repubblica di piazza Tahrir compone il suo governo. Primo ministro Mohammed ElBaradei, fra i quattro vice ci sono altri due candidati alle presidenziali come lui, un economista marxista e un giudice senza macchia. Sono stati indicati dai 16 partiti e movimenti che da una settimana rioccupano la piazza, e approvati per alzata di mano di massa. I cinque saggi sceglieranno i ministri "fra i migliori del Paese". E la giornata finisce con i fuochi d'artificio e piatti di foul, la fagiolata egiziana.

Non è così semplice. Stanno tentando di fare un governo anche oltre i confini della piccola repubblica fra il museo Egizio a Nord, l'Università Americana a Sud, il quartiere di Kasr el Nil a Est e il cantiere di un grande albergo in ristrutturazione, a Ovest, il cui fantasma intristisce la piazza. Giovedì i militari avevano scelto Khamal Ganzouri, scoperto negli archivi del trentennio di Hosni Mubarak del quale fu premier dal 1996 al ‘99. L'unico merito conosciuto del settantasettenne Ganzouri è di essere stato il solo dei numerosi primi ministri del regime, cacciato da Mubarak. Quando se ne andò dovette prendere un taxi per tornare a casa perché non possedeva un'auto. Altro di Ganzouri non è stato trovato nella sua lunga e grigia militanza nel vecchio apparato.

Ancora nel pomeriggio sembrava che i militari, i quali lo avevano scelto la sera prima, avessero cambiato idea; o che lo stesso Ganzouri ci avesse ripensato. Invece il premier designato è stato confermato e ha già avviato le consultazioni per trovare almeno il manipolo dei ministri necessari per governare un Paese di 80 milioni di abitanti. Ma fuori dal suo nuovo ufficio non c'è la solita coda di candidati a una poltrona.

In realtà dentro e fuori la Repubblica di piazza Tahrir nessuno sa se ci sarà un governo, se le elezioni di lunedì si terranno davvero, se la calma tornata al Cairo dopo una settimana di battaglia, abbia la forza di reggere. E' in questo clima, senza i necessari ministri degli Interni e della Giustizia, che dovrebbero tenersi le prime elezioni democratiche della millenaria storia d'Egitto. La Commissione elettorale che non risponde a un governo ma ai militari, dirama un comunicato surreale: le urne non resteranno aperte solo lunedì ma anche martedì.

Nel tentativo di dimostrare di esistere – in realtà esistono e non hanno mai smesso di tramare - anche i nostalgici hanno organizzato la loro contro-manifestazione. E' la prima da febbraio, quando Mubarak è stato costretto a dimettersi. Hanno scelto piazza al-Abassia, nel quartiere omonimo fra centro e periferia, abitato da dipendenti statali, funzionari di polizia, piccoli commercianti, il mondo di "Palazzo Yacoubian". La piazza è piccola, un decimo di Tahrir, non è stato difficile riempirla. Il risultato finale della giornata di manifestazioni è 500mila a 20mila. Forse i numeri non sono precisi ma la proporzione si.

All'ora della preghiera di mezzogiorno, la più importante il venerdì, piazza Tahrir è coperta da un tappeto di fedeli inginocchiati. A guidarli è Maz'ar Shahin, l'imam della moschea di Omar Makram, qui in piazza. Shahin è diventato "l'imam della rivoluzione", ha una trasmissione televisiva e una rubrica con foto e firma in alto sul giornale "Akhbar". Anche la Republica di piazza Tahrir ha incominciato a garantire benefici. Dopo di lui interviene Hassan Shafie, mandato dall'Università di al-Azhar per annunciare ai rivoluzionari che il Grande Imam di al-Azhar, la più importante istituzione religiosa dell'Islam sunnita, "prega per la vostra vittoria". La folla è in delirio. Meno felici sono i Fratelli musulmani che dalla piazza e dalla rivolta hanno deciso di restare fuori. La vera maggioranza silenziosa sono loro, non i reduci di Mubarak ad Abassia. La giornata finisce così, un happening gioioso e nevrotico sul ciglio del caos.

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