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Questo articolo è stato pubblicato il 25 novembre 2011 alle ore 10:40.

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Una sentenza importante per internet, sebbene forse sopravvalutata.

L'oggetto di causa era un singolare ordine giudiziale richiesto dalla Sabam (l'equivalente della nostra SIAE) nei confronti di un fornitore di accesso ad internet. Il provider avrebbe dovuto: i) filtrare tutto il traffico dei propri clienti per individuare le comunicazioni peer to peer; ii) ispezionare i contenuti scambiati dagli utenti ; iii) bloccare la trasmissione delle opere condivise in violazione della legge sul diritto d'autore.

Scarlet, questo il nome della società convenuta, si era rifiutata di adempiere.

Per quale ragione un operatore commerciale della comunicazione dovrebbe spender soldi e risorse tecniche per vigilare e impedire eventuali violazioni di diritti altrui commesse dagli utenti?

Ma soprattutto con quale diritto il gestore della rete dovrebbe "guardare" le comunicazioni che trasporta, decidendo quali sono legali e quali no, quali possono esser consegnate e quali debbono esser bloccate?

Domande, che sono state rimesse alla Corte di Giustizia Europea che ha provveduto oggi con una sentenza attesa con ansia da tutti i fruitori di internet.

Se un provvedimento come quello richiesto dalla Sabam a tutela degli autori e degli editori belgi fosse stato ritenuto ammissibile e compatibile con il diritto comunitario sarebbe stata decretata la fine di internet per come oggi lo conosciamo.

La neutralità della rete, e con essa i diritti fondamentali che quotidianamente, più o meno coscientemente, esercitiamo su di essa, avrebbero subito un colpo quasi mortale.

La libertà di impresa (art.16 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione) esclude che possa esser accollato giudizialmente ad un soggetto economico qual è il fornitore di accesso ad internet un compito tecnicamente complesso, costoso e permanente finalizzato alla tutela di diritti di proprietà intellettuale altrui. Il diritto d'autore, seppur consacrato anch'esso nella costituzione europea, non è un diritto assoluto né è intangibile.

Un filtraggio quale quello ipotizzato avrebbe poi autorizzato la verifica degli indirizzi e delle destinazioni di tutto il traffico internet per individuare gli scambi con protocollo peer to peer, con conseguente trattamento di dati personali senza consenso e per finalità estranee al servizio. Un'evidente violazione del diritto alla tutela dei dati personali (art. 8 della Carta).

In ultimo il blocco della comunicazione supposta illecita operato da una impresa commerciale e non da un giudice che valuti caso per caso, il buon diritto dei titolari ed i limiti e le eccezioni di esso a vantaggio della circolazione della cultura e delle idee, viola la libertà di espressione e di informazione (art. 11 della Carta Europea)

Queste le ragioni portate nella sentenza. Ineccepibili, sebbene fosse difficile ipotizzare un diverso esito a fronte di una richiesta davvero indifendibile da parte dei titolari dei diritti d'autore

Si è dimenticata la Corte l'art.7 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione, che tutela le comunicazioni.

La deep packet inspection, ovvero la procedura che consente di "leggere" il contenuto dei pacchetti trasportati sulla rete costituisce una forma di intercettazione: un atto così invasivo del diritto fondamentale alla riservatezza delle comunicazioni deve esser riservato alla sola magistratura, con le garanzie di una ferrea procedura.

La Corte avrebbe potuto cogliere l'occasione per chiarire il punto.

l'Avvocato Generale Pedro Cruz Villalón nelle sue conclusioni presentate ad aprile aveva colto anche questo aspetto, ed aveva in verità svolto considerazioni assai più incisive ed ampie di quelle portate dalla Corte nella sua sentenza.

Internet può tirare un sospiro di sollievo, ma le minacce alla neutralità della rete ed alla libertà di espressione non sono affatto debellate e sono oggi portate da attacchi assai meno grossolani della richiesta avanzata di Sabam nel lontano 2004. Sono richieste di traffic management apparentemente sensate e per ciò assai più insidiose.

**Carlo Blengino, Avvocato, fellow del Centro NEXA per Internet & Società del Politecnico di Torino

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