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Questo articolo è stato pubblicato il 28 novembre 2011 alle ore 06:38.

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Sempre più per necessità e sempre meno per scelta. Il popolo del part-time aumenta, da quest'anno oltre quota 3,5 milioni, ma si allarga al suo interno la compagine dei "forzati" ad accettare la formula a causa della penuria di impieghi a tempo pieno: ormai è un testa a testa con gli "entusiasti" dell'orario ridotto, mentre prima della crisi i rapporti di forza erano ben marcati (40% i primi, 60% i secondi).
Secondo un'elaborazione del Centro studi Datagiovani, oggi gli addetti a tempo parziale sono il 5% in più rispetto al 2008, l'equivalente di oltre il 15% dell'occupazione totale. Le quote rosa sfiorano il 78%, ma se si scende lungo lo Stivale si passa dall'81% del Nord a meno del 70% del Meridione (64% in Campania e Sicilia), confermando come nelle regioni in cui il mercato è più asfittico il part-time faccia breccia anche tra gli uomini.
«I dati - spiega il ricercatore Michele Pasqualotto - evidenziano che lavorare a tempo parziale non rappresenta più il raggiungimento di un'agognata conciliazione tra lavoro e famiglia, piuttosto una scelta obbligata». Il part-time involontario coinvolge 1,8 milioni di persone: 434mila sono economicamente sottoccupate, con un gap ampio tra l'orario effettivo e quello desiderato, 16,7 ore prestate alla settimana contro 35,2 ambite.
Degli oltre 450mila lavoratori che hanno trovato il primo impiego da non più di un anno, secondo l'analisi di Datagiovani, tre su 10 hanno un orario ridotto, quasi il 43% nel caso delle donne. Le opportunità maggiori per i dipendenti arrivano poi dal terziario: in primis alberghi e ristoranti (42% degli occupati totali), seguiti da sanità e servizi alle imprese. «La crisi ha ristretto le porte d'ingresso soprattutto per l'industria - commenta Egidio Riva, docente di sociologia all'Università Cattolica di Milano - e le poche chance flessibili si concentrano ancor di più rispetto al passato nel settore terziario».
E sono i giovani con meno di 35 anni a presentare le quote più elevate sia di lavoratori part-time rispetto al totale degli occupati (23%) sia di soggetti che dichiarano di non avere trovato un lavoro a tempo pieno (69%). «Sono anche gli unici - precisa Pasqualotto - che nel periodo di crisi sembrano non avere "beneficiato" della politica del "lavorare meno per lavorare tutti": infatti, il part-time tra gli under 25 è diminuito del 12% e del 6% nella classe 25-34 anni, mentre è "boom" tra i 45 e i 54 anni, con una crescita del 23 per cento».
La flessibilità oraria è invece minima tra quadri e dirigenti (circa il 2% del totale), «un segnale evidente - osserva Riva - che la scelta del part-time non lascia grandi spazi alle prospettive di carriera, spesso si tratta di una decisione di ripiego, compiuta giocoforza».
Spostando il focus sulle motivazioni di chi invece sceglie il tempo parziale, emerge una frattura netta tra uomini e donne: i primi dichiarano obiettivi di benessere personale (avere più tempo libero), studio o per svolgere un secondo lavoro; le seconde, al contrario, scelgono la formula per seguire figli o altri familiari non autosufficienti.
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