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Questo articolo è stato pubblicato il 04 dicembre 2011 alle ore 08:13.

di Francesco Bruno e Cecilia Carrara Il principio per cui è responsabile penalmente solo la persona fisica che commette il reato (riconducibile all'articolo 27 della Costituzione), e non l'ente per cui lavora o che rappresenta, coesiste con il decreto legislativo 231/2001. Alcune fattispecie, data la loro gravità "sociale", estendono alla persona giuridica una responsabilità che espone l'ente a sanzioni pecuniarie e misure interdittive, come la sospensione dell'attività o il sequestro dell'azienda. Responsabilità che si aggiunge (non si sostituisce) a quella delle persone fisiche che materialmente hanno realizzato l'illecito.
Il decreto legislativo 121/2011 ha introdotto l'articolo 25-undecies nel decreto 231, estendendo al settore ambientale la responsabilità amministrativa degli enti e delle persone giuridiche. Le imprese dovranno ora intensificare i controlli di gestione ambientale e redigere o implementare il modello comportamentale previsto dal decreto 231. Solo in questo modo potranno provare all'autorità giudiziaria di aver messo in atto tutte le misure necessarie a preservare gli ecosistemi. È un passaggio delicato, perchè tali reati sono perlopiù contravvenzionali, cioè è tendenzialmente sufficiente l'elemento soggettivo della colpa per integrarne la condotta. E la tipica figura di colpa che interviene in questi casi è la colpa in vigilando, molto difficile da evitare, soprattutto nelle realtà produttive più grandi.
Genesi del provvedimento e questioni applicative sono già state approfondite (negli articoli del 6 giugno 2010 e del 17 aprile 2011). Un ulteriore passaggio controverso riguarda l'applicazione delle misure interdittive. Nel comma 7 dell'articolo 25-undecies si dispone testualmente che «nei casi di condanna per i delitti indicati al comma 2, lettere a), n. 2), b), n. 3), e f), e al comma 5, lettere b) e c), si applicano le sanzioni interdittive». Il punto è che quasi tutte le fattispecie richiamate sono contravvenzioni (per esempio gli scarichi illegali, la discarica non autorizzata di rifiuti pericolosi e l'inquinamento doloso e colposo dalle navi) e non delitti (per esempio l'attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti). Svista del legislatore delegato? Impossibilità di applicare le sanzioni interdittive se non in una specifica ipotesi? Se dovesse trattarsi di un refuso, andrebbe corretto il prima possibile.
In realtà, per adempiere integralmente agli indirizzi europei, avremmo dovuto: reinventare il sistema ordinatorio penale introducendo molti nuovi reati, aggravando le labili pene ora previste in capo alle persone fisiche che mettono in atto la condotta; estendere solo le condotte illecite più rilevanti alla responsabilità degli enti, magari prevedendo un'esenzione dalla redazione dei modelli per le imprese certificate. Al contrario, sono stati introdotti solo due nuovi reati ambientali, mentre moltissime ipotesi criminose ambientali sono rientrate nell'ambito della responsabilità delle persone giuridiche. Le ragioni di questa scelta non sono note, ma il processo giuridico appare delineato: si è spostato il rischio ambientale (e l'efficacia della tutela) dalle persone fisiche alle persone giuridiche. Le prime, vista l'esigua entità delle pene, nella maggior parte dei casi potranno risolvere l'incriminazione con l'«ablazione semplice», solo con il pagamento di una sanzione pecuniaria. I reati contravvenzionali sono a elevato rischio di prescrizione e non consentono l'applicazione di misure cautelari personali e delle intercettazioni. È invece sugli enti che oggi grava sostanzialmente la responsabilità ambientale, poiché le sanzioni del decreto 231 appaiono idonee a scoraggiare le imprese dalla commissione di illeciti (soprattutto se sarà risolta la questione attinente all'applicazione delle misure interdittive). Questo approccio avrà effetti positivi per indirizzare il sistema produttivo nazionale verso uno sviluppo sostenibile? Dobbiamo attendere almeno qualche anno per avere una risposta. Certo è che una mancata sostenibilità si integra con una mancata crescita.
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