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Questo articolo è stato pubblicato il 21 gennaio 2012 alle ore 10:52.

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Una delle novità più importanti ma meno visibili del decreto legge sulle liberalizzazioni è l'abbandono di fatto dell'assegno al proprietario del veicolo danneggiato (detto "risarcimento per equivalente"): se il testo ufficiale del decreto confermerà le ripetute anticipazioni dei giorni scorsi, ci si dovrà recare in una carrozzeria convenzionata con la propria assicurazione, che regolerà il conto direttamente col riparatore (è il "risarcimento in forma specifica"). Una novità che non solo potrebbe limitare la libertà di scelta del carrozziere cui affidarsi, ma potrebbe penalizzare chi non intende effettuare la riparazione, preferendo incassare i soldi cui ha comunque diritto e magari usarli per coprire in parte il costo di acquisto di un veicolo nuovo.

Il testo del decreto discusso ieri a Palazzo Chigi non introduce un obbligo esplicito di risarcimento in forma specifica. Più semplicemente, taglia del 30% - a parità di danno - le somme che spettano a chi non lo accetta, preferendo il classico risarcimento per equivalente. Un taglio di entità tale da indurre buona parte degli assicurati a stipulare una polizza che preveda appunto il risarcimento in forma specifica. In questo caso, il costo della polizza sarà scontato: lo impone l'articolo 14, comma 2 del Dpr 254/06 (il regolamento di attuazione del risarcimento diretto), anche se il beneficio potrebbe pure essere minimo, perché la norma non ha previsto un'entità minima dello sconto.

Secondo Cna e Confartigianato (le associazioni più rappresentative dei carrozzieri), si creerebbe una situazione paradossale per un decreto sulle liberalizzazioni: si ridurrebbe la concorrenza tra le carrozzerie, perché solo metà delle 17mila attualmente esistenti è convenzionata con le compagnie (che difficilmente saranno interessate a inserire nella propria rete tutte quelle che oggi ne sono escluse). Le due organizzazioni hanno anche dubbi sulla costituzionalità della norma: l'obbligatorietà di fatto del risarcimento in forma specifica (che nella Rc auto è materialmente possibile solo nell'ambito dell'indennizzo diretto, perché solo in questo caso il danneggiato viene rimborsato dalla propria compagnia) cozza contro la sentenza n. 180/2009 con cui la Consulta stabilì che la procedura di risarcimento diretto non è obbligatoria (si può scegliere anche quella tradizionale, facendosi pagare dalla compagnia del danneggiante). Questo punto, però, per come sono formulate le varie versioni del decreto circolate sinora, si potrebbe pure interpretare diversamente, nel senso che la decurtazione del 30% potrebbe valere solo per chi opta per il risarcimento diretto, lasciando intatti i diritti di chi segue la procedura tradizionale. Che, a quel punto, potrebbe essere scelta da molti, segnando la fine del risarcimento diretto ad appena cinque anni dalla sua introduzione; ciò potrebbe comportare un aumento dei costi del sistema, perché la procedura tradizionale dà diritto a farsi rimborsare la parcella dell'avvocato sempre (nella procedura diretta, invece, questa spesa è coperta solo se si arriva a fare causa).

In ogni caso, dietro alla contestazione di Cna e Confartigianato c'è la nota avversione delle associazioni di categoria verso il risarcimento in forma specifica: le compagnie propongono ai carrozzieri convenzioni con tariffe di manodopera molto basse e spesso impongono di fornire loro i ricambi, togliendo agli artigiani libertà imprenditoriale e una possibile fonte di guadagno. Le assicurazioni, dal canto loro, tendono a crearsi una rete convenzionata per abbassare i costi e, almeno in teoria, controllare meglio l'operato dei carrozzieri (non di rado accusati di "gonfiare" i danni). Aldilà di questa storica contrapposizione, la decurtazione del 30% a chi non "cede" al risarcimento in forma specifica preoccupa anche le associazioni dei consumatori, che si riservano di fare dichiarazioni ufficiali dopo la pubblicazione del decreto in Gazzetta.

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