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Questo articolo è stato pubblicato il 26 gennaio 2012 alle ore 08:38.
L'ultima modifica è del 26 gennaio 2012 alle ore 11:27.

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L'idea di tassare le transazioni finanziarie è suggestiva, proficua e moralizzante. Con il vortice di operazioni sui mercati finanziari, cresciute in maniera esponenziale negli ultimi due decenni, i governi ricaverebbero un bel gruzzolo di denaro e verrebbe scoraggiata la speculazione internazionale. L'idea non è nuova ed ebbe un grande successo nel 1972, quando venne teorizzata da James Tobin, in seguito insignito di un premio Nobel per l'economia.

Adesso, la crisi dei debiti sovrani e l'enorme sete di denaro dei governi dell'area euro l'hanno rilanciata. Lo schema, proposto dalla Commissione europea, prevede di tassare a partire dal 2014 le transazioni su azioni e obbligazioni con un prelievo dello 0,1% e gli strumenti derivati con un'aliquota dello 0,01%. Nelle intenzioni dei proponenti, il gettito massimo potrebbe arrivare a 57 miliardi di euro all'anno.

Niente male, stando all'idea. Ma la messa in pratica si profila assai complicata. Ovviamente la proposta è vista come fumo negli occhi dagli intermediari e dagli investitori e la lobby dei primi sta già predisponendo le difese. L'Association for Financial Markets in Europe, Assosim e Nordic Securities Association hanno commissionato a Oxera (una società indipendente di consulenza con sede a Oxford) uno studio sull'impatto della tassazione. Le conclusioni: i danni all'economia sarebbero superiori ai vantaggi fiscali. Già dalla simulazione indicata dalla Commissione c'è qualcosa di poco convincente: 37 miliardi di gettito, circa lo 0,3% del Pil europeo, mentre l'impatto sull'economia sarebbe dello 0,53% che, considerando una tassazione media del 40%, equivarrebbe a una perdita fiscale di 26 miliardi. Il risultato netto sarebbe di appena 11 miliardi, troppo poco per ritenere efficiente la nuova tassa.

Ma la simulazione, spiegano gli analisti di Oxera, non tiene conto di una serie di conseguenze che la tassazione potrebbe provocare: gli investitori non Eu si rivolgerebbero a intermediari non comunitari per le transazioni e pure quelli Eu finirebbero per preferire altri broker. Qualche istituzione finanziaria troverebbe conveniente spostare la sede fuori dall'Europa e gli investitori internazionali potrebbero privilegiare attività finanziarie non comunitarie, innescando una fuga di capitali. Inoltre, secondo Oxera, i maggiori costi di transazione finirebbero per penalizzare gli investitori finali: i sottoscrittori di fondi, per esempio, che si vedrebbero decurtare i ritorni del 2,7-5,5%, il retail (-0,8%) e le aziende manifatturiere che soffrirebbero i maggiori costi per proteggersi dalla fluttuazione dei cambi e dei tassi. Infine, la tassazione avrebbe un forte impatto sul sistema bancario rendendo meno convenienti le operazioni di finanziamento attraverso i pronti contro termine. Alla fine, conclude Oxera, gli effetti negativi sull'economia supererebbero il gettito fiscale.

Per questi motivi Assosim ha recentemente inviato a Mario Monti una lettera in cui si lamenta la perdita di competitività degli intermediari italiani e la conseguente perdita di posti di lavoro, se la legge proposta trovasse applicazione. Ma l'idea, caldeggiata soprattutto da Nicolas Sarkozy, difficilmente troverà il consenso dei 27 Paesi della Comunità. Londra non l'accetterà mai perché metterebbe in crisi una attività che genera il 9% del Pil britannico e pure Dublino (dove i servizi finanziari rappresentano il 10% del prodotto interno lordo), Lussemburgo e Stoccolma hanno già manifestato perplessità. Per inciso: la quota di Pil generata dalla finanza è poco sopra il 5% in Italia e Francia e al 4% in Germania. Qualche economista suggerisce di cambiare la base della tassazione: l'attività finanziaria in sè e non più la transazione.

Ma anche in questo modo sarebbe una doppia discriminazione: per i titoli degli emittenti comunitari e per gli intermediari che vedrebbero ridotta la loro attività. Va da sè che una Tobin tax, per poter funzionare, dovrebbe avere una valenza universale. Ma se è difficile mettere d'accordo i Paesi europei, è impossibile trovare il consenso degli Stati Uniti o della Cina.

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