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Questo articolo è stato pubblicato il 06 aprile 2012 alle ore 09:03.

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La Cassazione rafforza il diritto all'oblio sul web. Con la sentenza n. 5525 della Terza sezione civile, la Corte ha messo un obbligo di difficile gestione a carico delle aziende editoriali. Se infatti una notizia di cronaca è collocata nell'archivio storico della testata e resa disponibile tramite l'intervento dei motori di ricerca, allora il «titolare dell'organo di informazione» deve provvedere a curarne anche la messa a disposizione della contestualizzazione e aggiornamento. Non regge infatti, sottolinea la sentenza, a scudo della società editoriale, l'argomento per cui nel grande "mare di internet" è possibile comunque trovare ulteriori notizie sul caso specifico.

Che significa? Che la società editoriale dovrà provvedere alla «predisposizione di un sistema idoneo a segnalare (nel corpo o nel margine) la sussistenza di un seguito o di uno sviluppo della notizia e quale esso sia stato (...), consentendone il rapido ed agevole accesso da parte degli utenti ai fini del relativo adeguato approfondimento».

A suo modo classico il caso che è approdato alla Cassazione: il coinvolgimento in un provvedimento giudiziario, erano gli anni di Tangentopoli, di un oscuro assessore di un comune dell'hinterland milanese: l'uomo era stato prima arrestato ma in seguito prosciolto dalle accuse di corruzione. Peccato che la notizia del suo arresto, il 22 aprile 1993, sia tuttora riportata nell'archivio storico del Corriere della Sera anche in versione informatica digitando sull'indirizzo www.corriere.it. Così l'uomo si era rivolto prima al Garante della privacy cui aveva chiesto il blocco dei dati personali che lo riguardavano, contenuti nell'articolo "incriminato", e poi al tribunale di Milano. Sia l'uno sia l'altro gli avevano dato torto.

Chiamata in causa, la Cassazione gli ha però dato ragione, cancellando la sentenza del tribunale milanese rinviandogli la decisione che dovrà essere presa alla luce dei nuovi principi di diritto fissati. Qui osserva la Corte non esiste un profilo di diffamazione o lesione alla reputazione: la notizia, a quell'altezza di tempo, è vera e pertanto non ha senso discutere su una rettifica. Come pure non ha senso confinare l'articolo in area non indicizzabile dai motori di ricerca: esiste ancora una rilevanza pubblica della notizia, visto che l'uomo viene definito come un possibile candidato a una delle prossime tornate elettorali o comunque papabile per un incarico non elettivo.

La notizia, come detto vera, ma a una determinata altezza di tempo, ha bisogno però di essere aggiornata, in questo caso con la conclusione del procedimento giudiziario che condusse all'arresto. «Così come la rettifica – sottolinea la sentenza – è finalizzata a restaurare l'ordine del sistema informativo alterato dalla notizia non vera (che non produce nessuna nuova informazione), del pari l'integrazione e l'aggiornamento sono invero volti a ripristinare l'ordine del sistema alterato dalla notizia (storicamente o altrimenti) parziale». L'aggiornamento si deve concentrare allora sull'inserimento di notizie successive o nuove rispetto a quelle esistenti al momento iniziale del trattamento ed è indirizzato a ripristinare la completezza della notizia. All'aggiornamento deve provvedere il titolare dell'archivio e non il motore di ricerca perché quest'ultimo è, nella lettura della Corte, un semplice intermediario telematico «che offre un sistema automatico di reperimento di dati e informazioni attraverso parole chiave». L'archivio storico, specie quello di una grande testata nazionale come il Corriere della Sera, risponde invece in pieno all'esigenza di attribuzione della fonte dell'informazione a un soggetto, della relativa affidabilità, della qualità e della correttezza dell'informazione».

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