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Questo articolo è stato pubblicato il 06 aprile 2012 alle ore 06:42.

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MILANO
Una storia lunga quasi 15 anni. La vertenza sull'anatocismo fra banche e correntisti torna alla ribalta con la decisione della Corte costituzionale (sentenza n, 78) che ieri ha bocciato il decreto milleproroghe del 2010 (poi convertito nella legge 10/11) riaprendo di fatto uno spiraglio nelle cause intentate dai clienti per il rimborso degli interessi extra versati.
Si tratta di migliaia di cause promosse dai correntisti per ottenere la restituzione dei versamenti effettuati a copertura degli interessi anatocistici applicati – specie negli anni Novanta – dagli istituti di credito sugli scoperti di conto corrente, ma "vietati" per effetto di una serie di pronunce della Cassazione.
Per ricostruire la vicenda bisogna risalire al 1999. La Cassazione, quell'anno, con la sentenza n. 2374 ha dichiarato per la prima volta l'illegittimità della prassi delle banche di capitalizzare interessi passivi con periodicità più frequente (di solito, trimestrale) rispetto all'accredito degli interessi attivi (di solito, annuale). Questa posizione è stata ribadita a Sezioni unite nel 2004, con una sentenza (la n. 21095) che ha esteso "retroattivamente" la nullità delle clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi ai versamenti effettuati prima della riforma dell'anatocismo avvenuta sempre nel '99 (delibera Cicr 9 febbraio 2000 e Dlgs 342/99) a seguito della presa di posizione della Suprema corte.
Per alcune associazioni dei risparmiatori queste sentenze aprivano la strada a un contenzioso plurimiliardario, perché si sarebbe potuto risalire, nel chiedere il rimborso degli interessi pagati in più, fino agli anni '80. Per altre, più caute, il termine ordinario di prescrizione di 10 anni decorreva dalla sentenza del 2004 e dunque si sarebbe potuto agire fino ai versamenti del 1994.
Nel 2010, la Cassazione con la sentenza n. 24410 ha ulteriormente chiarito che la prescrizione decennale decorre dalla chiusura del conto in cui gli interessi non dovuti sono stati addebitati. Per la Corte, infatti, è solo in questo momento che si fissano i crediti e i debiti delle parti.
Alla fine del 2010, il decreto milleproroghe (comma 9, articolo 2-quinquies) ha invece stabilito che la prescrizione decorre non dal giorno della chiusura del conto ma dal giorno di ogni singola annotazione dei versamenti effettuati dai clienti a ripianamento degli interessi passivi addebitati nel conto. Quindi con un lasso di tempo molto più breve per agire o quasi nullo, perché le "singole annotazioni", cui faceva riferimento la disposizione (in vigore dal 27 febbraio 2011), erano prevalentemente antecedenti al '99 e dunque già prescritte.
I consumatori-correntisti si sono così nuovamente rivolti ai tribunali, i quali si sono divisi nell'interpretazione della novità. A marzo 2011 il Tribunale di Benevento ha sollevato d'ufficio la questione di legittimità costituzionale del milleproroghe seguito dal Tribunale di Brindisi. Altri uffici giudiziari hanno optato per la disapplicazione del nuovo regime di prescrizione ai processi in corso (come il Tribunale di Ferrara quello di Brescia). Viceversa il Tribunale di Milano con due decisioni del 4 e 7 aprile 2011 ha giudicato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale ribadendo che «in tema di anatocismo la prescrizione delle azioni ripetitorie decorre dalla data di annotazione in conto delle singole rimesse illegittimamente poste a debito».
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