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Questo articolo è stato pubblicato il 20 aprile 2012 alle ore 08:15.

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Non sono solo i contribuenti ad aver visto complicarsi il rebus dell'Imu nel passaggio parlamentare. La pioggia di date che ha infittito il calendario dell'imposta, e che permette ai Comuni di rivedere le proprie scelte sulle aliquote fino al 30 settembre e allo Stato di intervenire addirittura fino al 10 dicembre (anche se le decisioni per la maggioranza degli immobili dovrebbero essere assunte prima), denunciano le incertezze sul gettito e sui meccanismi della nuova imposta.
Di fronte a un orizzonte nebbioso sono due le opzioni possibili per le amministrazioni locali: spingere le aliquote al rialzo, per far fronte ai tagli ed evitare brutte sorprese dopo i primi versamenti dei contribuenti, oppure stare fermi, aspettando tempi migliori per disegnare l'architettura delle aliquote locali. E anche chi ha già espresso un orientamento non esclude ulteriori ritocchi.

Le Giunte nei Comuni capoluogo, come mostra il nuovo monitoraggio qui a fianco del Sole 24 Ore, si dividono fra queste due strade. C'è chi, come Milano e Torino o, tra i centri più piccoli, Parma e Caserta, è pressato da urgenti esigenze di bilancio e di conseguenza ha spazi stretti o nulli per evitare rincari ulteriori del Fisco sul mattone. «Il quadro delle aliquote – spiega ad esempio Gian Guido Passoni, assessore al Bilancio di Torino, dove l'aliquota sulla prima casa dovrebbe comunque essere dello 0,55% e quella per la seconda dell'1% – sarà chiaro solo a decreto convertito, ragion per cui non prevediamo un'accelerata sulla decisione, dal momento che comunque il gettito della prima rata di giugno, che dovrebbe essere quella base, non arriverà direttamente ai Comuni». A Milano, invece, stanno aggiornando continuamente i conti, ma l'orientamento è di salvaguardare le prime case e alzare l'aliquota sulle seconde.

Altri centri, tra cui Varese, Lodi, Mantova, rimettono in discussione scelte che sembravano alcune settimane fa definitive e, visti gli scarsi risultati ottenuti nei correttivi parlamentari, stanno riconsiderano da capo l'intero problema. In più di un caso la parola d'ordine è di limitare i danni, ma visto che le nuove regole ne danno la possibilità, diverse città rimanderanno le decisioni all'ultimo momento per cercare di cogliere al meglio tutte le possibilità disponibili, anche in positivo. A Brescia, per esempio, sulla prima casa si vuole stare sui minimi consentiti dal Governo e per questo motivo si attendono le decisioni di Roma
Molti municipi, come ad esempio Genova, Asti, Isernia, attendono infine gli esiti delle prossime amministrative di maggio per lasciare alle nuove giunte l'onore e l'onere della scelta delle aliquote. In questi casi sono state solo abbozzate delle previsioni, come nel capoluogo ligure, in cui non ci si aspetta, nonostante tutto, un aumento rilevante della pressione fiscale per la famiglia media rispetto all'epoca dell'Ici, almeno per quanto riguarda le prime case. In effetti, i passaggi parlamentari hanno corretto qualche intoppo, per esempio cancellando la quota erariale sul mattone dei Comuni utilizzato per fini non istituzionali o sugli immobili ex Iacp, ma si sono tenuti lontani dai nodi spinosi che avrebbero comportato coperture introvabili nelle condizioni attuali del bilancio pubblico. Niente è stato messo in campo per alleggerire l'imposta su negozi e imprese, che rischiano di vedersi triplicare le richieste rispetto all'Ici (si veda «Il Sole 24 Ore» di ieri) e ora fanno pressione sui sindaci per chiedere che le aliquote nei loro confronti vengano ridotte ai limiti di legge. A Bergamo, per esempio, conferma il sindaco Franco Tentorio, c'è la volontà di applicare un'aliquota ridotta per superfici fino a 250 metri quadri.

Tutte queste valutazioni, però, poggiano su un terreno accidentato: i regolamenti tributari e i bilanci vanno chiusi entro il 30 di giugno, grazie al rinvio accordato nel Milleproroghe proprio per le troppe complicazioni legate al debutto dell'Imu, ma poi c'è un tempo supplementare fino al 30 settembre per rivedere le scelte fatte.
L'interrogativo, oltre alla chiusura dei bilanci con l'accertamento «convenzionale» di entrate che poi possono cambiare, è legato al confronto fra le stime su cui Stato e Comuni si stanno esercitando e il primo afflusso effettivo di risorse, dopo il versamento del 18 giugno.
La possibilità di rateazione lunga, in tre tappe, sull'abitazione principale è destinata a creare ulteriori tensioni alle casse degli enti locali, ma sono soprattutto le forti complicazioni procedurali ad alzare più di un ostacolo sui versamenti. A determinarle è la divisione fra Stato e Comuni del gettito sugli immobili diversi dalla prima casa: ogni contribuente dovrà calcolare il 50%, ad aliquota standard, e destinarlo ai due indirizzi, dotati di due diversi codici tributo.

Hanno collaborato Silvia Alparone, Mirco Marchiodi, Francesca Mencarelli, Marta Paris, Luca Pozza, Francesco Prisco, Natascia Ronchetti, Antonio Schembri

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