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Questo articolo è stato pubblicato il 25 maggio 2012 alle ore 07:22.

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La revisione dei coefficienti previdenziali pubblicata sulla «Gazzetta Ufficiale» di ieri lima anche l'assegno di chi andrà in pensione con il contributivo pro rata previsto dalla riforma Fornero, ma solo se imboccheranno la via dell'uscita anticipata.

Per chi dovrà (o deciderà di) attendere la data «ordinaria», l'assegno sarà un po' più pesante: con il passare degli anni, quando si accumuleranno più aggiornamenti automatici biennali dei requisiti legati alla dinamica demografica del Paese, la tendenza è destinata ad accentuarsi. I coefficienti, infatti, riguardano solo la parte contributiva dell'assegno, per cui i loro effetti crescono al diminuire della quota di pensione calcolata con il retributivo.

In generale, del resto, è lo stesso meccanismo di aggiornamento dei coefficienti a rendere ancora più stringente la regola del «più versi, più ricevi», estesa all'intero sistema previdenziale dalla riforma varata a Natale dal Governo Monti. Sui lavoratori interessati dal contributivo pro rata introdotto a Natale, che di conseguenza hanno iniziato a lavorare prima del 1977, la nuova revisione ha un impatto leggero, dal momento che la fetta di gran lunga più consistente della loro pensione continuerà a essere calcolata con il retributivo.

Le tabelle qui a fianco ipotizzano tre profili di reddito per un lavoratore con una storia contributiva iniziata a 23 anni di età. L'effetto più negativo si ha con il pensionamento a 65 anni, che in ogni caso non impone rinunce superiori al 2 per mille della pensione totale. Dai 66 anni in poi, si inizia invece a "guadagnare", anche se l'incremento è limitato per la stessa ragione che rendeva minimo il sacrificio.

Più importanti le conseguenze su chi ha iniziato a lavorare dal 1977 in poi, e sarà di conseguenza destinatario di un trattamento previdenziale in cui il sistema di calcolo contributivo ha un ruolo determinante. Le conseguenze determinate dai nuovi coefficienti sui profili considerati nelle tabelle qui a fianco corrono parallele, sia nel caso di calcolo con sistema «misto» (retributivo per la prima parte della carriera, contributivo per la seconda) sia nel caso di «contributivo puro» (chi ha iniziato a lavorare dopo la riforma Dini).

Anche in questa ipotesi, il picco degli effetti si incontra nel caso del pensionamento a 65 anni di età, quando il taglio rispetto all'assegno calcolato con i coefficienti pre-aggiornamento oscilla fra il 2,6 e il 3,1 per cento. Dall'uscita con 66 anni di età si inizia invece ad avvertire un lieve incremento di pensione, che si accentua con una permanenza ulteriore al lavoro.

In termini assoluti, comunque, la revisione dei coefficienti non cambia i termini della questione cruciale del sistema previdenziale, cioè il rapporto fra ultima retribuzione e assegno pensionistico (si tratta del «tasso di sostituzione»). Un dato, questo, che dipende anche dalla continuità contributiva, e che quindi è soggetto nel quadro attuale a due spinte contrastanti: l'obbligo di maggiore permanenza al lavoro alza la pensione, il rischio di impieghi discontinui invece la abbassa.

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