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Questo articolo è stato pubblicato il 11 giugno 2012 alle ore 06:44.

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Il presupposto della tassa di concessione governativa sulla telefonia mobile non è rappresentato da un provvedimento amministrativo (la licenza o un suo documento sostitutivo), ma dalle concrete prestazioni periodiche del servizio telefonico. Sono queste ultime, infatti, a essere il fatto generatore dell'obbligazione tributaria alle scadenze del pagamento dei corrispettivi.

Lo ha precisato la Corte di cassazione (sezione tributaria civile) con la sentenza 8825 depositata il 1° giugno scorso, che impone una svolta al vasto contenzioso in corso sulla debenza della tassa di concessione sugli abbonamenti della telefonia mobile.

La vicenda parte da lontano. Infatti, superato il precedente regime concessorio, il nuovo Codice delle comunicazioni (decreto legislativo 259/03) ha affermato la libertà e la libera disponibilità delle forniture di servizi di comunicazione. In questo contesto, spogliato di qualunque contenuto autorizzatorio, il contratto di abbonamento stipulato dall'utente ha riacquistato la sua ordinaria natura corrispettiva. E, in assenza di una licenza o di un altro provvedimento amministrativo da tassare, è venuto a mancare il presupposto per l'applicazione della tassa.

Dopo aver perso la maggior parte delle controversie instaurate per la restituzione della tassa già pagata, l'agenzia delle Entrate è uscita allo scoperto con la risoluzione 9 del 2012: esaminate le disposizioni e, in particolare, la sostituzione dell'articolo 318 del vecchio Codice postale del 1973 con l'articolo 160 del decreto legislativo 259/2003, l'Agenzia ha confermato che il presupposto per la tassazione della telefonia mobile resta l'abbonamento, dal momento che esso prende il posto, in base all'articolo 160, comma 2, del decreto legislativo 259/2003, della licenza. Si tratta, peraltro, di un riferimento normativo non condivisibile: il comma si riferisce agli intestatari del «libretto di abbonamento alle radioaudizioni», vale a dire ai detentori di apparecchiature radiofoniche, che le quali, a differenza dei telefoni cellulari, possono soltanto ricevere emissioni sonore, non anche inviarle.

È in questo scenario che si inserisce la sentenza 8825 della Corte di cassazione. Intanto, la pronuncia dà atto che il nuovo Codice delle comunicazioni ha sostituito il precedente regime di privativa legale regolato da provvedimenti concessori con un nuovo regime fondato sulla libertà di fornitura dei servizi di comunicazione. Di conseguenza, la tassa di concessione non deve più essere correlata al rilascio di un provvedimento amministrativo della pubblica amministrazione o del soggetto-gestore nei confronti dell'utente abbonato: quest'ultimo si limita a concludere un contratto di diritto privato con il gestore della rete. Inoltre – e in questo la sentenza è davvero innovativa – il presupposto impositivo viene ricollegato «non già alla emissione di un atto amministrativo, ma al mero presupposto di fatto (di natura cronologica) della durata della prestazione di servizi così come conteggiata in ciascuna bolletta dal gestore all'abbonato».

L'affermazione dell'elemento fattuale (le prestazioni periodiche del servizio telefonico) come presupposto di tassazione ha richiesto la svalutazione del principio generale di applicazione del tributo (articolo 1, Dpr 641/72) per il quale sono oggetto di tassazione provvedimenti amministrativi o altri atti. In effetti, la sentenza declassa ogni eventuale documento a «mero evento occasionale.

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