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Questo articolo è stato pubblicato il 27 giugno 2012 alle ore 06:41.

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Il limite alla compensazione orizzontale del credito Iva è contrario alle norme comunitarie e, pertanto, il giudice tributario interno è tenuto a disapplicarlo quando, in fase di accertamento, l'ufficio ne invoca gli effetti. A stabilirlo è la Commissione tributaria regionale d'Abruzzo (sentenza 45/5/2), con cui il collegio di seconde cure ha annullato l'accertamento del Fisco che aveva recuperato la compensazione del credito Iva effettuata da una società per la parte eccedente l'importo di 516.456 euro.
La posizione delle Entrate si basa sull'articolo 34 della legge 388/00, secondo cui costituisce violazione tributaria la compensazione del credito d'imposta effettuata in misura eccedente il limite. A parere dell'amministrazione finanziaria (risoluzione 452/E/08), questa fattispecie deve essere regolarizzata mediante il versamento di una somma equivalente all'importo indebitamente utilizzato in compensazione, maggiorato degli interessi, e con il pagamento della sanzione (articolo 13 del Dlgs 471/97), eventualmente ridotta se il contribuente intende avvalersi del ravvedimento operoso. Quanto all'eccedenza di credito disponibile, questa può essere portata in compensazione l'anno successivo oppure può essere chiesta a rimborso nei modi ordinari.
Nel caso specifico la società accertata aveva proceduto alla compensazione del credito ben oltre il limite. In fase di controllo, quindi, l'ufficio provvedeva al recupero della differenza, oltre alle sanzioni e agli interessi. La società accertata si era opposta al recupero. In contenzioso la società eccepiva che, secondo la Corte di giustizia, una norma di uno Stato membro che non permetta all'impresa un'immediata fruizione (anche tramite compensazione) del totale del credito Iva, stabilendo un limite massimo e obbligandola al "riporto" a esercizi successivi della differenza, viola la VI direttiva Cee. A supporto di questa tesi, la difesa della società citava tre sentenze della Corte di giustizia: la 25/10/2011, causa C-78/00 (condannata l'Italia, anche alle spese); la 10/07/2008, causa C-25/07 (condannata la Polonia) e la 28/07/2011, causa C-274/10 (condannata l'Ungheria, anche alle spese).
In particolare, la sentenza cita la causa 28/07/11 - C-274/10, in base alla quale l'Ungheria «obbligando i soggetti passivi dalla cui dichiarazione fiscale emerga un'eccedenza, ai sensi dell'articolo 183 della direttiva 2006/112, nel corso di un determinato periodo d'imposta, a procedere al riporto di tale eccedenza, integralmente o parzialmente, al periodo d'imposta successivo (...) per il fatto che, in considerazione del suddetto obbligo, taluni soggetti passivi, dalla cui dichiarazione fiscale emergano sistematicamente eccedenze, siano tenuti a effettuare più volte il riporto al periodo d'imposta successivo, è venuta meno agli obblighi a essa incombenti in forza di tale direttiva».
Insomma, la Commissione d'appello abruzzese, nel confermare le tesi della società ricorrente, ha stabilito un principio che, se confermato in sede di legittimità, rischia di creare uno sconquasso nelle casse dell'Erario, che si è avvantaggiata non poco della disposizione contenuta nell'articolo 34 della legge 388/00.
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Approfondimenti dalle banche dati del Sole 24 ORE

Legge

Decreto legislativo 18 dicembre 1997 , n. 471
Gazzetta Ufficiale 8 gennaio 1998, n. 5


Riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi, a norma dell'articolo 3, comma 133, lettera q), della legge 23 dicembre 1996, n. 662.

TITOLO II - Sanzioni in materia di riscossione


Legge 23 dicembre 2000 , n. 388
Gazzetta Ufficiale 29 dicembre 2000, n. 302


Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. [Legge finanziaria 2001]

CAPO VIII. Disposizioni in materia di riscossione e di giochi e altre disposizioni fiscali

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