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Questo articolo è stato pubblicato il 01 luglio 2012 alle ore 15:57.

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Anche dopo la riforma dell'articolo 18, il tradizionale limite dei 15 dipendenti mantiene un significato importante per determinare quale regime sanzionatorio si applica al licenziamento.

Si tratta di una soglia che nel tempo ha assunto una valenza simbolica, in quanto il sedicesimo dipendente ha significato il passaggio dal regime della «tutela obbligatoria» - nel quale il licenziamento ingiustificato è sempre stato sanzionato solo con un'indennità economica - al regime della «tutela reale», nel quale l'annullamento era punito, prima della riforma Fornero, sia con il risarcimento sia con la reintegrazione sul posto di lavoro.

La riforma Fornero modifica solo quest'ultimo regime, mentre non cambia la disciplina applicabile alle imprese che restano sotto la soglia. Pertanto, i licenziamenti nelle piccole imprese restano sanzionati con il pagamento di una somma variabile tra le 2,5 e le 6 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, senza che spetti al dipendente alcuna riammissione sul posto di lavoro (a meno che non lo chieda il datore). Si applicano le norme sul licenziamento discriminatorio, ma questo era già previsto nel regime attuale. Per il resto, non si applicano le altre novità contenute nella riforma. Per quanto riguarda il licenziamento disciplinare, la distinzione tra licenziamento con reintegra (e 12 mensilità) o senza reintegra (e un risarcimento variabile tra le 12 e le 24 mensilità), fondata sull'accertamento che il fatto non sussiste o era sanzionato in maniera meno grave dai contratti collettivi, non vale per le imprese di piccole dimensioni. Lo stesso vale nel caso dei licenziamenti «economici».

La procedura di conciliazione preventiva, con cui l'impresa manifesta l'intenzione di licenziare per giustificato motivo oggettivo, va esperita solo da chi supera la soglia dei 15 dipendenti, e anche il regime sanzionatorio applicabile a questo recesso (solo risarcimento di importo variabile tra 12 e 24 mensilità, salvo i casi di manifesta insussistenza o di applicabilità del licenziamento disciplinare o discriminatorio) non vale per chi ha meno di 16 dipendenti. Inapplicabili per definizione anche le nuove norme sui licenziamenti collettivi. La legge 223/1991, infatti, è destinata solo alle imprese che superano i 15 dipendenti e che vogliono procedere a un licenziamento di almeno 5 persone nell'arco di 120 giorni.

Il discorso cambia sulle regole dell'impugnazione del licenziamento. In questa ipotesi, vale pienamente e senza differenze connesse alle dimensioni dell'impresa la regola che porta da 60 a 120 il termine per impugnare il provvedimento, e quella che riduce da 270 a 180 giorni il termine per agire in giudizio. Allo stesso modo, chi viene licenziato da un'impresa che non supera i 15 dipendenti può accedere come tutti gli altri al nuovo processo sommario. Da ultimo, va ricordato che il numero di 15 dipendenti, il cui superamento determina il passaggio dall'uno altro regime, fotografa solo una parte dell'azienda.

Questo accade perché nel conteggio delle persone utili ai fini della soglia non si computano molte tipologie di lavoratori. Secondo quanto precisa il nuovo articolo 18, non rientrano nel computo il coniuge e i parenti del datore di lavoro entro il secondo grado, e i lavoratori part time si computano solo in relazione al lavoro svolto. Sulla base di norme speciali, non si contano ulteriori categorie di lavoratori (i somministrati, gli apprendisti, gli assunti con contratti di inserimento, eccetera); infine, nonostante a volte siano dei sostanziali subordinati, non possono entrare nel computo perché sono formalmente autonomi i lavoratori a progetto, le partite Iva e gli associati in partecipazione.

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