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Questo articolo è stato pubblicato il 23 luglio 2012 alle ore 09:38.
È davvero un peccato che la delega fiscale difficilmente andrà in porto visto il poco tempo a disposizione prima della fine della legislatura. Un punto fondante di quel progetto – ancora di più dell'abuso del diritto e dell'elusione che sono uno dei problemi, ma non il problema – è quello della certezza del diritto. Certezza del diritto che risulterebbe il perno fondamentale, assieme alla certezza della pena, di un sistema che vuole veramente combattere l'evasione fiscale. Non è questa la sede per elencare i motivi di tutte le criticità del sistema fiscale italiano.
Almeno una, però, può essere segnalata. Si tratta dell'importanza che viene data dal "mondo fiscale" ai pronunciamenti di prassi, ai comunicati, alle norme non coordinate e frammentarie scritte solo per reperire gettito, rispetto ai princìpi.
Si prenda l'esempio degli studi di settore e quel che ne è seguito, ricordando che dal 2002 al 2007 le Entrate hanno sostenuto che il risultato degli studi di settore giustificava ex se l'accertamento. Poi nel 2009 la Cassazione a Sezioni unite ha stabilito che gli studi non sono altro che una possibile anomalia del comportamento fiscale del contribuente. Che cosa è stato costruito dopo?
Sanzioni sempre più gravi per le infrazioni legate alla comunicazione dei dati, maggiore esposizione agli accertamenti induttivi, addirittura possibili binomi tra studi di settore (che guardano i ricavi) e il sintetico (che guarda il reddito complessivo), per non parlare (si veda il decreto salva-Italia) dell'utilizzo delle indagini finanziarie per i non congrui.
Tutto ciò per garantire agli studi una forza persuasiva che la legge non dà. In una fiscalità fondata sulla certezza del diritto e sui princìpi, tutto questo non succederebbe. Sparirebbero anche i vari premi per chi è congruo, così come le minacce di controlli, di sanzioni e di accertamenti.
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