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Questo articolo è stato pubblicato il 07 agosto 2012 alle ore 18:42.

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Dopo le prime forti resistenze la riforma Gelmini ha messo piede nelle università italiane. Praticamente tutti e 79 gli atenei hanno approvato i nuovi statuti: le "leggi fondamentali" che secondo la legge 240/2010 hanno il compito di ridisegnare l'identikit della governance accademica tagliando burocrazia e snellendo la struttura in molti casi diventata troppo elefantiaca. Con risultati subito evidenti: i Cda sono stati praticamente dimezzati (-45% di membri) e più di un quarto (il 28%) delle persone che siederanno nei futuri consigli di amministrazione saranno "esterni" all'università. Insomma il mondo accademico fa un passo indietro importante nel suo organo di regìa, che si apre di più alla società civile: «Ci saranno bandi pubblici e si dovranno dimostrare capacità gestionali, penso che si faranno avanti imprenditori, ex alunni di prestigio, rappresentanti del territorio o scienziati di chiara fama», avverte Stefano Paleari, segretario della Conferenza dei rettori e coordinatore di questa indagine realizzata dalla Crui insieme all'ateneo di cui è rettore, l'Università di Bergamo.

L'indagine ha messo sotto la lente tutti gli statuti: 73 già pubblicati in Gazzetta (6 con modificazioni successive), 5 inviati al ministero e 1 sul quale viale Trastevere ha fatto ricorso. In realtà il termine per approvarli è scaduto da tempo (lo scorso 31 ottobre), ma sul varo di queste "carte costituzionali" degli atenei si è scatenata nei mesi scorsi una guerra fatta di cavilli e ricorsi. Del resto la posta in gioco non è di poco conto perché secondo la riforma bisognava intervenire sugli organi di governo: dal rettore, a cui dare un peso "manageriale" più forte, ai Cda da snellire e aprire all'esterno e con compiti di strategia, fino al Senato accademico per il quale ritagliare un ruolo "consultivo" anche se con potere di sfiducia del Magnifico. In più, la riforma ha previsto di far confluire le vecchie Facoltà all'interno dei Dipartimenti: in sostanza, se finora quest'ultimi si occupavano di ricerca e le Facoltà di didattica adesso ci saranno solo i Dipartimenti che faranno entrambe le cose. Con la figura chiave dei direttori di dipartimento che avranno un ruolo da protagonisti negli atenei.

Dal censimento Crui-università di Bergamo emergono i primi risultati importanti. Innanzitutto c'è stato un dimezzamento dei membri dei Cda che, se prima della riforma erano in media una ventina, ora saranno tra i nove e gli undici, al Sant'Anna di Pisa saranno per esempio solo 5. Nei consigli siederanno in media 2-3 membri esterni: in questo caso il record appartiene all'ateneo di Trento (7 esterni su 9 membri). In cura dimagrante, anche se più leggera, finisce anche il Senato accademico che perde il 10% dei propri membri (in media sono una trentina). In netto calo anche il numero delle strutture interne: ai vecchi Dipartimenti e Facoltà si sono sostituiti, come detto, i nuovi Dipartimenti, che diventano in tutto 724 rispetto ai 2072 (più 513 Facoltà) ante riforma. «È la dimostrazione che le università stanno facendo il loro dovere nell'applicazione della riforma» avverte ancora Paleari, che aggiunge: «Chi non ha tenuto fede ai patti è il Governo attuale e quello precedente che avevano promesso, in cambio di questo cambio, di non toccare le risorse. Invece il prossimo anno a malapena pagheremo gli stipendi».

I NUMERI
La fotografia degli atenei italiani
79
Gli statuti approvati

Finora sono stati 67 gli statuti emanati in Gazzetta, 6 quelli pubblicati con modifiche successive, 1 sul quale il ministero dell'Università ha fatto ricorso e cinque già inviati al Miur ancora non pubblicati.

669
I membri dei Cda nei 79 atenei

Prima della riforma Gelmini erano 1.265 i membri nei Consigli di amministrazione delle università, dopo la riforma saranno 596 in meno. In media i Cda saranno composti da 9-11 membri. Si tratta di un calo del 45%.

181
I membri «esterni» nei Cda

In media i membri non provenienti dal mondo accademico saranno 2-3 (sui 9-11 che compongono i Cda).
Si tratta del 27% della rappresentanza nei Consigli di amministrazione degli atenei

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