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Questo articolo è stato pubblicato il 15 agosto 2012 alle ore 16:54.

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Forse non sarà quella «Riforma degli ordinamenti professionali» ambiziosamente stampata sulla prima pagina del Dpr che entra in vigore oggi. Probabilmente non è neppure la realizzazione piena del severo capitolo sulle libere professioni che il presidente dell'Antitrust, Giovanni Pitruzzella, aveva inviato a gennaio ai presidenti del Parlamento e al premier Mario Monti come «proposta di riforma concorrenziale» del sistema Paese.

Nonostante ciò, non si può non riconoscere al Governo in carica (peraltro in attuazione della Finanziaria d'agosto del 2011) di aver messo mano con un certo coraggio attraverso il Dpr 137/12 – dopo almeno vent'anni di buoni e vani propositi bipartisan – a una materia delicatissima. Materia che – è vero – coinvolge milioni di consumatori/clienti portatori di diritti primari, ma che riguarda allo stesso tempo 1 milione e 100 mila professionisti dediti e appassionati al proprio lavoro, anche volendo sorvolare tout court sulla percentuale di Pil tutt'altro che marginale attribuita alle libere professioni.

«Libere» appunto, come ribadisce il Dpr nella dichiarazione introduttiva, che però nell'enfasi di voler sottolineare il divieto assoluto di limiti all'accesso nell'ex-dorato circolo "pro", sembra aver dimenticato i numeri già oggi debordanti di molti albi (avvocati leader mondiali di densità, ma anche commercialisti, giornalisti, ingegneri, architetti), a dimostrazione di una realtà fin troppo permeabile.

Se di qualcosa si vuole accusare Ordini e Collegi, probabilmente la sindrome della "casta chiusa" non è il peccato più evidente, anzi.
Semmai il problema era un altro, cioè garantire al consumatore/cliente che ovunque vada a sbattere troverà un professionista mediamente serio e preparato. In questo, la mini–riforma ha probabilmente centrato l'obiettivo, introducendo regole stringenti per il tirocinio e soprattutto per la formazione continua e permanente dei professionisti: non più (se mai è stato) un hobby per piacevoli convegni e congressi tra amici più o meno attempati, ma un obbligo sanzionato in modo severo dalla legge.

E sempre nella prospettiva di salvaguardare la parte debole (il cliente), la scelta di obbligare i professionisti ad assicurarsi – cosa che pure già oggi fanno in molti: vogliamo pensare a medici, ingegneri, commercialisti e avvocati? – è senz'altro un punto di approdo importante, una modalità corretta per riequilibrare posizioni che per troppo tempo non lo sono state. Anche il definitivo sdoganamento della pubblicità – già sbloccata dalle lenzuolate Bersani del 2006 – non consentirà comunque ai professionisti più spregiudicati di inondare il mercato con messaggi furbi, suggestivi o esagerati, evitando di ingannare così la clientela meno attrezzata.
La riforma entra poi, anche se in punta di piedi, su un altro tema caro all'Antitrust e altrettanto avvertito dall'opinione pubblica: la deontologia e i procedimenti disciplinari.

Qui la distanza tra ciò che avrebbe desiderato il presidente Pitruzzella (sottrazione della funzione disciplinare agli Ordini, ingresso nei "tribunali disciplinari" anche dei non iscritti agli albi e, nei consigli locali, degli iscritti ad albi diversi da quello territoriale di competenza) e il risultato finale dell'operazione è abbastanza sensibile. Tuttavia almeno la raggiunta scissione tra rappresentanti eletti dalla categoria e giudici disciplinari dovrebbe far cessare – si spera una volta per tutte – i peggiori episodi di clientelismo elettorale (certo non un'esclusiva dei professionisti) rilevabili e rilevati soprattutto nelle periferie.

Ma la vera svolta/occasione/rischio epocale per le professioni sta probabilmente fuori dal Dpr 137 e riguarda le società tra professionisti. Disciplinate dalla legge di stabilità (183/2011), modificate dal decreto legge liberalizzazioni, le Spt segnano davvero l'uscita dal modello novecentesco e aprono un'epoca nuova. Non senza incognite, però, come segnalano molti Ordini: la possibilità di ingresso dei soci di solo capitale in attività delicate (avvocati e commercialisti su tutti) mette davvero a rischio la trasparenza dei fini (secondi?) delle Spt; in questo contesto l'aver limitato a un terzo la quota dell'estraneus potrebbe non essere una garanzia sufficiente, anche solo a sventare riciclaggio e infiltrazioni.

Tutto questo per dire che le riforme sono per definizione, e soprattutto nel nostro Paese, incomplete e perfettibili, ma vanno affrontate senz'alibi. Le norme sono lì, scritte e immobili.
Farle funzionare, dare loro vita e un'interpretazione "funzionale", appunto, e non invece affossarle con interpretazioni capziose e ricorsi universali, spetta ai professionisti. Chiamati a una prova di maturità che, probabilmente, non concederà più appelli.

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