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Questo articolo è stato pubblicato il 22 agosto 2012 alle ore 08:31.

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Basta poco a un politico per finire nei guai per voto di scambio con la mafia: non servono né soldi (incassati) né altra utilità, ma la semplice «disponibilità a venire a patti con la consorteria» malavitosa, anche solo nelle forme della «promessa reciproca».

Lo ha stabilito la Prima penale della Cassazione (sentenza 32820/12, depositata il 21 agosto) confermando la custodia cautelare in carcere per l'ex segretario comunale di Rivarolo Canavese, "sostenitore" della campagna elettorale del sindaco del paese nelle europee dello scorso anno.

L'uomo era accusato di aver concluso accordi, tra gli altri, con il gestore di un bar del posto che si impegnava a convogliare sul primo cittadino i voti controllati dalla 'ndrangheta locale, in cambio di 20mila euro per il disturbo. Arrestato dal Gip di Torino nel giugno dello scorso anno – provvedimento confermato dal Riesame – il segretario si è rivolto alla Cassazione opponendo il mancato incasso del "premio" (circostanza peraltro pacifica) che secondo i suoi difensori farebbe cadere l'accusa, in quanto il pagamento sarebbe un «elemento costitutivo del reato».

Ma la Cassazione gli ha dato torto, condannandolo anche al pagamento delle spese. Pur se è vero, scrive il relatore della sentenza «che nell'ambito di una formulazione della norma incriminatrice (articolo 416-ter del codice penale, ndr) ritenuta da autorevoli commentatori "largamente insufficiente se non addirittura velleitaria", non sono mancate interpretazioni» variegate – tra cui la necessità del pagamento, appunto – «è ormai prevalente l'opposta opinione secondo cui "il reato di scambio elettorale politico–mafioso si perfeziona al momento della formulazione delle reciproche promesse, indipendentemente dalla loro realizzazione, essendo rilevante, per quanto riguarda la condotta dell'uomo politico, la sua disponibilità di venire a patti con la consorteria mafiosa, in vista del futuro e concreto adempimento dell'impegno assunto in cambio dell'appoggio elettorale"».

Tecnicamente, spiega ancora la Corte, la nuova fattispecie di reato «ha avuto l'effetto di anticipare la tutela penale della libertà di voto e dell'ordine pubblico, dal momento che il reato di consuma con la semplice stipula del patto di scambio (promessa di voti contro l'erogazione di denaro) senza necessità che l'accordo trovi poi realmente esecuzione», in sostanza con la struttura di un reato di pericolo in cui la dazione di denaro è un «dato di rilevanza solo probatoria rispetto all'avvenuta definizione del patto».

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