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Questo articolo è stato pubblicato il 12 settembre 2012 alle ore 08:20.

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Non è reato andare in vacanza portando con sé un quantitativo di hashish sufficiente all'uso personale per il tempo durante il quale si protrae il soggiorno. E, in ogni caso, il superamento dei limiti quantitativi non può fondare, da solo, «una presunzione "assoluta" della destinazione illecita».

Lo sottolinea la Cassazione (sentenza 34758/2012 depositata ieri) annullando con rinvio la condanna per spaccio a un uomo sorpreso su una pista da sci mentre si confezionava uno spinello e aveva con sé 48 grammi di hashish. Gesto per il quale era stato condannato per spaccio di hashish sia in primo grado sia dalla Corte d'appello di Bolzano.
Di fatto, i magistrati altoatesini avevano ritenuto dimostrata la detenzione illecita dal dato quantitativo della droga, in grado di consentire il confezionamento di 161,7 dosi medie: quantitativo incompatibile con l'uso personale in ragione del fatto che l'uomo era un assuntore occasionale.

La Suprema Corte, invece, ha accolto le obiezioni degli avvocati della difesa sottolineando che «il mero superamento dei limiti quantitativi» stabiliti dalla legge non può fondare la presunzione «assoluta della destinazione illecita». Infatti, pur in presenza di quantità superiori ai limiti quantitativi massimi fissati dalla legge, l'ipotesi della destinazione a un uso non esclusivamente personale, prosegue la Cassazione, può essere smentita, ad esempio, «sulla base di altre circostanze»: tra queste rientrano «l'eventuale stato di tossicodipendenza o anche solo l'uso abituale di droga, e ciò soprattutto se il superamento della soglia è modesto».

Comunque sia, nel caso di detenzione di quantitativi «di rilievo», la Cassazione avverte però che l'uso personale deve essere dimostrato «in modo realmente concludente» tramite «le ragioni per le quali la persona si sia indotta a detenere, per uso personale, stupefacente che eccede i bisogni di un breve arco temporale».

Nel caso in questione, invece, «a fronte di un quantitativo affatto esorbitante, i giudici di merito non hanno in alcun modo valutato il contesto oggettivo e soggettivo della vicenda, arrivando alla condanna solo attraverso una considerazione presuntiva assoluta di un dato, appunto quantitativo, inidoneo a giustificare al di là di ogni ragionevole dubbio il giudizio sulla destinazione illecita», conclude la Cassazione annullando senza rinvio la condanna «perché il fatto non sussiste».

Approfondimenti dalle banche dati del Sole 24 ORE

Giurisprudenza

Corte di Cassazione, Sezione 6 penale

Sentenza 5 maggio 2008, n. 17899


Tribunale Lodi, penale

Sentenza 19 febbraio 2010, n. 4

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