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Questo articolo è stato pubblicato il 15 ottobre 2012 alle ore 06:48.

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Antonio Iorio
Sull'indetraibilità dell'Iva in presenza di fatture soggettivamente inesistenti deve essere l'amministrazione a dimostrare che il contribuente era a conoscenza della frode posta in essere da terzi, dato che non è possibile richiedere particolari incombenze a chi ha detratto l'imposta. È questo, in sintesi, il nuovo orientamento espresso dalla Corte di giustizia del l'Unione europea con la sentenza del 21 giugno, resa nelle cause C-80/11 e C-142/11, che dovrebbe far rivedere la prassi degli uffici negli accertamenti svolti in questo settore e, soprattutto, l'orientamento della Corte di cassazione (si veda «Il Sole 24 Ore del lunedì» del 13 agosto.
La prassi degli uffici
Quando la Guardia di finanza o l'agenzia delle Entrate scoprono fatture soggettivamente inesistenti – con l'effettiva realizzazione delle operazioni, ma riconducibili a soggetti differenti da chi ha materialmente emesso i documenti –, di norma, contestano la detraibilità dell'Iva nei confronti di chi ha ricevuto tali fatture (acquirente o committente). In genere, infatti, i verificatori presumono la conoscenza del contribuente acquirente (che ha detratto l'imposta) dell'inesistenza soggettiva della fattura.
La giurisprudenza italiana
Il comportamento dell'amministrazione particolarmente intransigente nei confronti del contribuente che ha detratto l'Iva trae la sua fonte dal costante recente orientamento della Corte di cassazione in materia.
In particolare, secondo i giudici di legittimità, è irrilevante che l'amministrazione finanziaria non provi alcun coinvolgimento del contribuente acquirente nella frode. Deve infatti essere l'imprenditore a provare di aver adottato tutte le misure idonee per assicurarsi che l'operazione non rientri in una frode. Quindi, se i verificatori contestano l'indebita detrazione dell'Iva indicata in fatture soggettivamente inesistenti, per i giudici di legittimità, è onere del contribuente dimostrare la buona fede. In assenza di tale prova, l'ufficio è legittimato a recuperare l'Iva detratta.
La Corte di giustizia europea
Questa rigorosa linea interpretativa della Corte di cassazione in realtà trae origine da alcune sentenze della Corte di giustizia europea cui i giudici italiani si sono uniformati.
Di recente, tuttavia, gli stessi giudici comunitari, pur non contraddicendo quanto deciso in precedenza, hanno chiarito meglio la propria interpretazione. L'intervento della Corte di giustizia ha riguardato un caso abbastanza frequente nella prassi: il disconoscimento da parte del fisco della detrazione Iva a una società che aveva acquistato beni da un'impresa la quale non li aveva effettivamente ceduti. Si è posta così la questione se la normativa comunitaria sulla detrazione Iva fosse compatibile con la prassi dell'amministrazione nel l'operare le rettifiche.

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