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Questo articolo è stato pubblicato il 30 ottobre 2012 alle ore 06:40.

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La stretta sull'abuso dei contratti di associazione in partecipazione con apporto di lavoro è una delle parti della legge Fornero a entrare subito in vigore, il 18 luglio scorso. Tuttavia dopo tre mesi il quadro sembra non essere cambiato molto.
«Su circa 50mila associati in partecipazione iscritti alla gestione separata dell'Inps – afferma Roberto D'Andrea, segretario Nidil-Cgil – finora ne abbiamo stabilizzati meno di 3mila con la trasformazione a tempo indeterminato. Siamo al 5 per cento». Il punto di osservazione del sindacato non è esaustivo, i 50mila iscritti non per forza sono tutte "vittime" di situazioni irregolari, ma comunque il dato della Nidil è sintomatico. Dati ufficiali, e aggiornati, di questo settore non ne esistono, ma se questa è l'efficacia della riforma, il provvedimento non può definirsi un successo.
Il ricorso a questa tipologia di contratto è piuttosto diffuso nel commercio, in particolare presso aziende che hanno grandi reti di vendita organizzate direttamente o in franchising. «Il punto debole della riforma – prosegue D'Andrea – è la mancanza di un percorso chiaro da seguire per mettersi in regola. Le imprese non sono obbligate ad aprire un confronto con i sindacati e non ci sono incentivi per la stabilizzazione legati a percorsi contrattuali definiti». Così, secondo il sindacato, mentre alcune aziende hanno colto l'occasione per mettersi in regola, altre si appigliano ad alcuni passaggi del testo che avrebbero bisogno di una precisazione ufficiale.
Per non incorrere nei nuovi vincoli, le imprese avevano tempo fino al 18 luglio per far certificare i contratti in essere. Una strada scelta, per esempio, da Poltronesofà. Altri hanno deciso di assumere a tempo indeterminato, stabilizzando i lavoratori ed eliminando ogni possibile motivo di incertezza e contenzioso. In alcuni casi (Golden Lady, per esempio, che da sola impiegava 1.200 persone) si è fatto ricorso ai contratti di prossimità, prolungando di dodici mesi la situazione esistente. Non è da escludere, infine, che alcuni lavoratori siano stati licenziati o che i titolari dell'attività (soprattutto quelle più piccole) abbiano deciso di chiudere in quanto la trasformazione del contratto dei collaboratori renderebbe non più remunerativa l'attività.
Tuttavia c'è anche chi oggi continua a ignorare le nuove disposizioni, giocando in particolare su un aspetto. La legge 92 stabilisce che il numero di associati non può essere superiore a tre in una medesima attività (eccezion fatta per associati legati all'associante da rapporto coniugale, di parentela entro il terzo grado o di affinità entro il secondo). Una restrizione che alcuni leggono come 3 associati per punto vendita, altri come 3 per azienda. Nel caso in cui una società abbia una rete di vendita estesa gestita direttamente, le due interpretazioni della norma fanno la differenza. In questa incertezza e a fronte di un'attività ispettiva che secondo il sindacato al momento non si dimostra particolarmente efficace, una comunicazione da parte del ministero del Lavoro potrebbe fare chiarezza in modo definitivo.
Ma c'è un altro aspetto, fondamentale, della legge che viene completamente ignorato. Il comma 30 dell'articolo 1 stabilisce che al contratto di associazione in partecipazione si applica la presunzione di rapporto subordinato a tempo indeterminato se l'attività non ha le caratteristiche individuate dal nuovo articolo 69-bis comma 2 lettera a) del Dlgs 276/03, e cioè «competenze teoriche di grado elevato acquisite attraverso significativi percorsi formativi, ovvero da capacità tecnico-pratiche acquisite attraverso rilevanti esperienze maturate nell'esercizio concreto di attività». L'attività di commesso, ma anche quella di addetto nelle sempre più diffuse sale slot, non ha queste caratteristiche. Quindi tutti i contratti, indipendentemente dal limite delle 3 unità, non sono a norma e il personale dovrebbe essere stabilizzato.
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