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Questo articolo è stato pubblicato il 14 novembre 2012 alle ore 06:41.

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Deve essere l'amministrazione fiscale a dimostrare che le somme percepite dal contribuente hanno natura differente rispetto a quelle dichiarate e quindi devono essere conseguentemente tassate in modo più oneroso. A nulla rileva, pertanto, che il contribuente non abbia fornito documentazione idonea a provare la propria tesi.
A precisarlo è la Corte di cassazione con l'ordinanza 19802 depositata il 13 novembre 2012. La vicenda trae origine dalle modalità di tassazione separata di alcune somme percepite da un contribuente alla fine del rapporto di lavoro. Egli riteneva che si trattasse di importi per incentivo all'esodo. Per l'agenzia delle Entrate, invece, si era in presenza di trattamento di fine rapporto e procedeva quindi alla conseguente riliquidazione.
La cartella di pagamento, notificata successivamente, conteneva pertanto la tassazione di tali importi secondo quanto ritenuto dall'ufficio (Tfr e non incentivo all'esodo). Il contribuente si rivolgeva, allora, alla Commissione tributaria provinciale e, avverso il rigetto del ricorso, si appellava alla commissione regionale.
Anche il giudice di appello confermava la tesi erariale evidenziando, in buona sostanza, che il contribuente non aveva provato, al di là delle affermazioni, che si trattava di incentivo e non come, ritenuto dall'ufficio, di Tfr. In particolare la commissione regionale rilevava che si era in presenza di riliquidazione di indennità di fine rapporto soggetta a tassazione separata e che) il contribuente, da parte sua, pur lamentando le modalità di detta riliquidazione, non aveva allegato la documentazione necessaria per provare il fondamento del proprio assunto con specifico riferimento alla natura e all'entità delle somme percepite.
La Suprema corte è invece giunta a conclusioni totalmente differenti e favorevoli al contribuente. Secondo i giudici di legittimità, costituisce onere dell'amministrazione, nel giudizio instaurato dal contribuente con ricorso avverso l'atto impositivo, di provare la sussistenza delle circostanze che giustificano, nell'ambito del parametro prescelto, il "quantum" accertato.
Il contribuente può, invece, provare l'infondatezza della pretesa creditoria anche in base a criteri non utilizzati dall'ufficio.
Nella specie, evidenzia la sentenza, la commissione regionale non ha innanzitutto tenuto conto che si trattava di una cartella di pagamento contenente una liquidazione effettuata a norma dell'articolo 36 bis del Dpr 600/73: essa costituiva pertanto il primo e unico atto attraverso il quale il contribuente veniva a conoscenza della pretesa erariale e quindi avrebbe dovuto contenere gli elementi essenziali per illustrare tale pretesa.
Infine, conclude la sentenza, non è stato applicato il consolidato principio giurisprudenziale espresso dalla Suprema corte in base al quale grava sull'amministrazione in sede di contenzioso fornire la prova del fondamento della pretesa fiscale.
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