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Questo articolo è stato pubblicato il 07 gennaio 2013 alle ore 06:42.

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Una società coinvolta a sua insaputa in frodi Iva ha comunque diritto a detrarre l'imposta pagata. Il diritto di detrazione dell'Iva, infatti, nel caso delle fatture soggettivamente inesistenti deve essere riconosciuto al cessionario qualora non sapeva o non poteva sapere di partecipare a un'operazione fraudolenta. A stabilirlo è la sentenza 164/28/12 della Ctr Lazio.
La pronuncia trae origine da una verifica a una società di distribuzione di arredi e dalla conseguente emissione di un avviso di accertamento con cui il fisco ha contestato un maggiore reddito ai fini Ires, Irap e Iva per il 2003 derivante dal presunto utilizzo di fatture emesse in relazione a operazioni soggettivamente inesistenti.
La società ha impugnato l'atto in Ctp. I giudici hanno accolto il ricorso: era stata ampiamente provata l'estraneità e la totale inconsapevolezza della stessa ricorrente in merito alle fatture soggettivamente inesistenti contestate dall'ufficio. Così l'ufficio ha presentato appello chiedendo la parziale riforma solo nella parte che riconosceva il diritto alla detrazione Iva in quanto non sarebbe stata provata la buona fede della contribuente. L'articolo 8 del Dl 16/2012 (convertito dalla legge 44/2012) ha, infatti, riconosciuto la deducibilità del costo relativo a fatture soggettivamente inesistenti ai fini delle imposte dirette, anche per atti posti in essere prima dell'entrata in vigore della nuova disposizione (come confermato poi dalla circolare 32/E/2012).
Nel respingere il ricorso in appello, i giudici di secondo grado hanno preliminarmente precisato che la nozione di fattura soggettivamente inesistente presuppone l'effettiva acquisizione di beni o servizi da parte del destinatario, anche se materialmente le prestazioni sono state poste in essere da altri soggetti. Di conseguenza il destinatario non ha il diritto di detrarre l'Iva soltanto se ha partecipato alla frode o se comunque ne era consapevole.
Pertanto, alla luce di tali considerazioni, la Ctr Lazio ha confermato la nullità dell'atto di accertamento sia per quanto attiene ai recuperi Ires e Irap, sia ai fini Iva in quanto la società è riuscita comunque a dimostrare la propria buona fede e, dunque, il proprio diritto alla detrazione dell'Iva applicata sulle fatture soggettivamente inesistenti.
Il diritto alla detrazione Iva è, infatti, subordinato alla circostanza che il contribuente non abbia avuto consapevolezza della falsità delle fatture. Pertanto anche l'accertamento basato sulla presunta inesistenza soggettiva delle fatture è illegittimo laddove il contribuente riesca a provare la propria buona fede attraverso una serie di elementi e circostanze che consentano di poterne escludere la sua conoscenza e conoscibilità.
La pronuncia della Ctr Lazio si pone linea l'orientamento giurisprudenziale secondo cui ai fini della detrazione dell'Iva in caso di fatture soggettivamente inesistenti, il contribuente deve dunque dimostrare di non essersi trovato nella situazione giuridica oggettiva di conoscibilità delle operazioni pregresse tra il reale cedente e il fatturante in ordine al bene ceduto e di non aver capito né potuto capire il carattere fraudolento delle operazioni degli altri soggetti coinvolti nell'operazione. Tuttavia, l'interpretazione appare in via di superamento da parte della recente giurisprudenza della Corte di giustizia europea (sentenze C-80/11 e C-142/11) secondo cui spetta sempre all'amministrazione finanziaria che contesta la detrazione dell'Iva provare la malafede o la consapevolezza della frode da parte dell'acquirente perché non è possibile richiedere particolari incombenze a chi ha detratto l'imposta (si veda Il Sole 24 Ore di lunedì 15 ottobre).
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