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Questo articolo è stato pubblicato il 21 gennaio 2013 alle ore 06:43.
Lo scambio di sms di tenore "amoroso" fa scattare l'addebito della separazione per infedeltà, se rivela l'esistenza di un rapporto affettuoso incompatibile con il dovere di lealtà coniugale. Lo puntualizza il tribunale di Caltanissetta, con la sentenza 1018/2012.
Coinvolto nella vicenda, un uomo accusato dalla moglie di aver allacciato un legame sentimentale con un'altra donna, in violazione degli impegni assunti con il matrimonio. Nel cellulare del marito, infatti, sono stati memorizzati diversi messaggi, che lasciano intendere l'esistenza di una relazione adulterina. Ipotesi avvalorata dalla scoperta di file amatoriali erotici che lo ritraggono in atteggiamenti confidenziali con una terza persona. Comportamenti che, per la coniuge, causano l'intollerabilità della convivenza. Di qui, la richiesta di addebitare la separazione al partner infedele.
Ma il marito respinge le accuse – adducendo la mancanza di un prova concreta del tradimento fisico – e formula a sua volta domanda di addebito. In realtà, precisa, sarebbe il temperamento aggressivo della moglie a determinare la fine dell'unione, minando l'armonia familiare.
Il tribunale non concorda e abbraccia la tesi della ricorrente: la responsabilità della frattura matrimoniale va attribuita alla condotta sleale dell'uomo. Nel sostenerlo, il collegio ricorda che per addebitare la separazione a una delle parti occorre accertare che la rottura sia derivata dal «comportamento oggettivamente trasgressivo di uno o entrambi i coniugi» e che sussista un «nesso di causalità» tra la contestata violazione e l'irreversibile intollerabilità della convivenza. Tuttavia, nell'ipotesi del tradimento, l'infedeltà può ritenersi, automaticamente, causa della separazione (salvo prova contraria, circa la preesistenza del disagio di coppia). Sul punto, i giudici richiamano una pronuncia di Cassazione – la 19606/2011 – che ha rilevato come, alla luce di solidi principi probatori, sarebbe comunque inaccettabile pretendere alla parte che richieda l'addebito, anche «la prova che la crisi coniugale sia stata provocata in via diretta ed esclusiva dalla dichiarata relazione extra-coniugale intrattenuta dall'altro».
Nel caso esaminato, quanto alle presunte responsabilità della coniuge, non emerge un nesso tra la fine del matrimonio e il suo carattere litigioso, né il marito è riuscito a dimostrare che la relazione adulterina si è inserita in un contesto matrimoniale già sofferente. A escluderlo sarebbe il fatto che, scoperto il tradimento, la ricorrente ha animato una violenta discussione. Al contrario, è dimostrata l'esistenza di un rapporto sentimentale, e non solo amichevole, tra il convenuto e un'altra donna. Questo legame, poi, mai negato dall'uomo, è confermato anche dalle dichiarazioni dell'"amante", cui questi si è più volte confidato, lamentandosi del clima poco sereno in casa. Circostanza da non sottovalutare, poiché – sottolinea la sentenza – anche se «non vi sia stato adulterio», la relazione instauratasi tra i due, non è «compatibile con il dovere di fedeltà e lealtà derivante dal matrimonio». Quindi, non incombendo su chi ha domandato l'addebito la prova che la prosecuzione della convivenza è divenuta inconciliabile con il tradimento subìto, la rottura del coniugio va ricondotta alla responsabilità del coniuge.
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