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Questo articolo è stato pubblicato il 28 febbraio 2013 alle ore 06:41.

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Non tutti gli uffici delle Entrate seguono le indicazioni del centro: ad alcuni viene difficile abbandonare le liti, anche a rischio di non incassare nulla. Alcuni casi di prosecuzione di liti inutili sono quelle sugli studi di settore automatizzati, o sul diniego dei rimborsi Iva a seguito della tardiva presentazione del quadro VR.
Per le liti in tema di studi di settore ci sono ancora uffici che, emettendo l'accertamento, tentano di "arricchire" i risultati dello studio, ma poi confermano integralmente i risultati presunti dallo strumento induttivo, facendo riferimento ad alcuni beni posseduti dal contribuente, ma senza dimostrare nulla. Di fatto, in questi casi, dopo il contraddittorio, gli importi dei ricavi presunti e del reddito presunto rimangono perfettamente uguali a quelli indicati dallo studio di settore prima del contraddittorio. Insomma, la fase del contraddittorio si rivela solo una perdita di tempo, in quanto alcuni uffici fanno il contraddittorio perché imposto dalla legge e dalle sentenze della Corte di cassazione, ma alla fine "copiano" integralmente i risultati dello studio.
Esistono anche uffici che moltiplicano il contenzioso, emettendo atti di accertamento e atti di irrogazione sanzione separati. È sbagliato in quanto le sanzioni collegate al tributo cui si riferiscono devono essere irrogate con atto contestuale all'avviso di accertamento o di rettifica. Diversamente, si rischia di fare una moltiplicazione delle sanzioni vietata per legge.
Esistono anche casi di accertamenti basati su indagini finanziarie fatte nei confronti di un professionista, senza distinguere le operazioni del coniuge, magari imprenditore o professionista. Il risultato sconcertante è che vengono imputate al professionista accertato anche le operazioni del coniuge.
Per contrastare eventuali contestazioni del tipo: "tutto ciò accadeva in passato" si può proporre il caso di un contribuente che aveva chiesto un rimborso per Iva relativa al 2004, anno in cui aveva cessato l'attività. Di fronte all'istanza di rimborso, presentata nel 2008, l'ufficio ha risposto con un diniego, in quanto il contribuente avrebbe dovuto presentare il modello VR e la richiesta era stata presentata dopo il termine biennale. Nella lettera, lo stesso ufficio segnala che contro il diniego si poteva presentare ricorso alla Ctp. Detto, fatto. Il contribuente presenta il ricorso e i giudici lo accolgono, secondo gli insegnamenti della Corte di cassazione, sezione civile: la sentenza 13920 del 24 giugno 2011 ha infatti statuito che la richiesta di rimborso che risulta dalla cessazione dell'attività, è soggetta al termine di prescrizione decennale e non quello biennale. Nonostante l'orientamento della Cassazione l'ufficio ha notificato l'appello contro la sentenza, ostinandosi a negare il rimborso. A questo punto, e siamo alle scorse settimane, al contribuente non resta che proseguire la lite e attendere la sentenza della commissione tributaria regionale. Così, il contenzioso continua ad arricchire il contenzioso, senza che l'amministrazione finanziaria sia responsabile delle (future) spese da pagare.
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