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Questo articolo è stato pubblicato il 21 marzo 2013 alle ore 17:56.

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Per due volte nel giro di appena 12 giorni la Suprema corte si pronuncia sulla controversa sindrome da alienazione genitoriale (Pas), ovvero il disturbo di cui soffre un figlio condizionato da un genitore a rifiutare senza motivo i contatti con l'altro. La prima decisione (5847/2013) non mette in discussione la diagnosi di Pas formulata dall'Asl e sulla base di questa conferma la decisione del giudice di merito. Ben diverso sviluppo ha, invece, la sentenza 7041, che accoglie il ricorso di una madre accusata di Pas. La vicenda è quella, notissima, venuta in cronaca a Cittadella al momento in cui un ragazzino, affidato dalla Corte d'appello di Venezia al padre ma fino ad allora convivente con la madre, viene prelevato dalla scuola dalle forze dell'ordine per essere portato in una struttura educativa. In merito a ciò, la prima domanda che si pone il giurista è come mai una madre della quale era stata pronunciata la decadenza dalla potestà per avere estraniato al figlio la figura paterna lo avesse ancora in custodia. La risposta invoca il rifiuto del figlio a stare con il padre: ma con questo il problema si morde la coda. Ancora più interessante, tuttavia, è la risposta data dalla Suprema Corte alle contestazioni della parte, che essenzialmente lamentava che non fossero state considerate e discusse le proprie riserve sia sulla esistenza e fondatezza della patologia sia sull'essere realmente la coppia madre/figlio affetta da tale patologia, ammessa sussistente in generale; nonché il non avere verificato l'attendibilità scientifica della teoria che ne sta alla base. In merito a ciò, la lunga analisi della Cassazione rammenta anzitutto che è in dubbio che si tratti di una sindrome, non essendo stata accolta come tale nel manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (Dsm). Cita, inoltre, i pareri negativi di alcuni studiosi e le perplessità di due organizzazioni, non tralasciando di ricordare le perplessità emerse sulla teoria. Ne conclude che il giudice di merito ha mancato nel non replicare alle avanzate censure – e su ciò nulla quaestio – e anche che "non può ritenersi che … possano adottarsi delle soluzioni prive del necessario supporto scientifico, come tali potenzialmente produttive di danni ancora più gravi di quelli che le teorie da esse sottese, non prudentemente e rigorosamente verificate, pretendono di scongiurare". Messa in questi termini, tuttavia, la questione appare mal posta, proprio sotto il profilo giuridico. Per valutare i danni, e il modo di evitarli o ripararli, occorre considerare la fattispecie nella sua completezza. Il dato essenziale è la ragione per la quale quel figlio rifiuta il padre, che secondo la Corte d'appello sta nell'essere stato manipolato. Questo andava discusso, a prescindere dalle teorie. Una corrente di pensiero, dei cosiddetti «negazionisti» della Pas, sostiene che se un figlio rifiuta un genitore ha sicuramente e sempre le sue ragioni, ovvero quel genitore ha abusato di lui o minaccia di farlo. Ne segue che l'altro non è alienante, ma l'unico baluardo in sua difesa; e non gli deve essere tolto. Questa dogmatica tesi ha tuttavia un pregio: segnala la necessità di considerare anche il terzo attore. Non a caso un gruppo di 62 psicologi forensi italiani ha firmato un documento in cui si sostiene che per un figlio perdere un genitore senza motivo è sicuramente di grave danno, nulla rilevando che ciò sia inquadrabile o meno come sindrome (si tolga pure la S e la si chiami Pa): per cui è fondamentale indagare sulle ragioni del rifiuto, individuandone le responsabilità. Il problema è di sostanza, non di forma. È comune esperienza che ciascun genitore separato lancia, consapevolmente o meno, messaggi denigratori nei confronti dell'altro, cercando di portare a sé il figlio. Nessuna meraviglia se a volte l'operazione riesce, e in misura grave e dannosa, tanto più facilmente quanto più i ruoli, i compiti e la presenza dei genitori sono dissimili. E in quei casi occorre certamente che si intervenga, limitando i poteri del genitore alienante e incrementando l'importanza dell'altro. In altre parole, il dibattito sulla Pas esprime solo uno degli aspetti del più generale problema dell'ascolto dei minori, ovvero del credito che occorre dare alle loro parole e alle loro preferenze.

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