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Questo articolo è stato pubblicato il 29 marzo 2013 alle ore 12:43.

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Google non ha la responsabilità per i suggerimenti dati con le funzioni Autocomplete e Ricerche correlate. Questi strumenti «non costituiscono un archivio, né sono strutturati, organizzati o influenzati da Google che tramite un software automatico, si limita ad analizzarne la popolarità e a rilasciarli sulla base di un algoritmo». Vittoria importante per Mountain View in Italia, che grazie a un'ordinanza del Tribunale di Milano in sede civile segna un punto importante sul fronte del riconoscimento delle responsabilità dei provider.

Il Tribunale di Milano ha rigettato la richiesta di danni da parte di un imprenditore, presidente di due associazioni no profit, nei confronti di Google. Digitando il proprio nome o quello della fondazione da lui presieduta, il ricorrente aveva constatato l'associazione del proprio nome o di quello dell'ente ai termini «truffa», «truffatore», «plagio» e «setta».

Alla richiesta diretta di intervento da parte di Google – accolta solo in parte eliminando l'accostamento coi termini «truffa» e «truffatore» – è seguito il ricorso al Tribunale. Per Google, scrive il Tribunale, è da escludere «la qualità di content provider», ma si può parlare di attività di catching, svolta «senza che il prestatore di servizio sia responsabile del contenuto di tali informazioni». L'accostamento «di termini in una stringa – si legge – non costituisce un'affermazione, bensì un suggerimento». Due anni fa un ricorso, presentato sempre a Milano, aveva dato esito opposto. «All'utente medio - commenta Gianluigi Marino dello studio legale Dla Piper – è attribuita una conoscenza del mezzo, e quindi del servizio, che due anni fa non era evidentemente riconosciuta».

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