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Questo articolo è stato pubblicato il 04 aprile 2013 alle ore 18:05.

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I giudici di Milano chiedono alla Corte costituzionale di pronunciarsi sulla legittimità del divieto di fecondazione eterologa. Per i giudici di Milano la legge italiana 40 del 2004 che impedisce alle coppie con problemi di fertilità il ricorso alla fecondazione in vitro, con con donazione esterna di ovuli o sperma, viola i principi fondamentali tutelati dalla Carta sull'autodeterminazione e l'eguaglianza delle coppie e il diritto all'autodeterminazione.
Il tribunale civile con l'ordinanza, depositata il 29 marzo scorso, invita la Consulta a esprimersi sulla conformità della legge per la seconda volta. La Corte Costituzionale era, infatti, già stata investita della questione ma - dopo la decisione della Grande Chambre della Corte dei diritti dell'Uomo di avallare il divieto – i giudici delle leggi avevano rinviato la questione ai tribunali ordinari. Con l'ordinanaza 150 del 2012 la Consulta aveva rimesso la palla nel campo dei giudici di merito assegnandogli il compito di conformarsi alla Convenzione e alla giurisprudenza di Strasburgo, chiamando in causa la Corte costituzionale solo quando l'impresa risulta impossibile.

Strasburgo, con una prima sentenze resa il 1° aprile 2010 (n.57813/00) aveva bocciato la norma interna considerandola in contrasto con l'articolo 8 della Convenzione sul diritto alla vita familiare. In quell'occasione la Cedu affermò la libertà per gli Stati di prevedere o meno la procreazione medicalmente assistita, escludendo però la possibilità di vietare solo l'eterologa, mettendo così in atto una disparità di trattamento tra coppie afflitte da uno stesso problema. Contro quella decisione l'Austria aveva fatto ricorso, con successo, alla Grande Chambre. La Cedu in composizione collegiale, aveva ribaltato la sua precedente decisione negando il contrasto con l'articolo 8 e concedendo ai Governi un ampio margine di discrezionalità nel legiferare sul campo. Un cambio radicale di rotta temperato solo dall'invito, rivolto agli Stati, a considerare nell'adeguamento normativo l'evoluzione scientifica.
Una bocciatura senza appelli della legge sulla procreazione assistita, per quello che riguarda però il divieto di accedere alla diagnosi preimpianto, c'è stata con la sentenza del 28 agosto 2012 (n.54270). Allora la Cedu contestò la violazione dell'articolo 8 nei confronti di una coppia portatrice sana di fibrosi cistica.

Con l'ordinanza del 29 marzo il tribunale civile di Milano riaccende i riflettori su un tema che divide dottrina e opinione pubblica tra chi chiede di non vanificare lo scopo del legislatore di garantire al bambino un modello di genitorialità consolidato, individuato in quello biologico, e chi vorrebbe garantire a tutti il diritto ad avere un figlio con ogni mezzo.

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