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Questo articolo è stato pubblicato il 10 aprile 2013 alle ore 20:22.

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Va verso una prescrizione parziale il processo per evasione fiscale agli stilisti Domenico Dolce e Stefano Gabbana, imputati a Milano insieme a un gruppo di loro consulenti per la presunta esterovestizione delle loro società. La prescrizione, alla luce del calendario d'udienza stilato oggi dalla seconda sezione penale di Milano, riguarderà certamente la dichiarazione infedele che si prescrive a fine aprile, ma la scure del tempo - che comunque non travolgerà gli effetti civilistici della sentenza, a cominciare dalle pretese del fisco - farà salva l'omessa dichiarazione dei redditi, ulteriore accusa per gli imputati.
Il processo, dopo l'annullamento dell'assoluzione disposto dalla Corte di Cassazione, è iniziato lo scorso 3 dicembre ed è nella fase di esame dei testimoni. Sono state fissate udienze per il prossimo 17 aprile, per il 3, il 15 e il 29 maggio. A fine marzo, intanto, la Commissione tributaria di Milano, aveva confermato la decisione del giudice fiscale di primo grado risalente al novembre del 2011, condannando i titolari della celebre griffe a pagare all'erario 343,4 milioni di euro più interessi per gli stessi fatti in contestazione davanti a giudice penale.

Secondo la procura di Milano nell'operazione di esterovestizione del marchio risalente al 2004 si sarebbe fatto ricorso a una «condotta di un abuso di diritto posta in essere al solo scopo di procurarsi un vantaggio fiscale». Stando alle contestazioni dell'agenzia delle Entrate, l'operazione elusiva era stata congegnata in vari passaggi, a partire dalla costituzione in Lussemburgo della Gado sarl, «interamente posseduta» da Dolce&Gabbana Luxembourg sarl a sua volta «interamente posseduta dalla D&G srl». Gado poche settimane più tardi (fine marzo 2004) acquistava dai proprietari Domenico Dolce e Stefano Gabbana i marchi di cui era divenuta proprietaria – tra cui Dolce&Gabbana, D&G Dolce e Gabbana – per 360 milioni di euro, a fronte di un valore di mercato «stimato in 1.193 milioni». Ulteriori passaggi furono un contratto di licenza di marchi tra la srl italiana e Gado (esclusiva in cambio di royalties) e infine la costituzione di una sede fittizia della Gado sarl in Lussemburgo presso una società di domiciliazione societaria che aveva in realtà «funzioni di mera segreteria». Scopo dell'operazione di ingegneria societaria, a parere dei giudici tributari e della Cassazione penale, fu «impedire l'applicazione delle imposte italiane su una manifestazione reddituale in realtà determinatasi nel territorio dello Stato, in quanto la reale titolarità dei marchi, attraverso la catena societaria, risale alle persone fisiche apparentemente cedenti e residenti in Italia».

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