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Questo articolo è stato pubblicato il 20 maggio 2013 alle ore 06:45.


Risponde di omicidio colposo, per l'annegamento del cliente, il gestore di un albergo con piscina che, negli orari di non fruibilità della vasca, non abbia delimitato l'area, impedendovi l'accesso. La piscina, del resto, è una struttura «pericolosa, sia quando è in esercizio, sia quando non lo è». Lo sottolinea la Cassazione, quarta sezione penale, con la sentenza 18569/2013.
La vicenda ha preso le mosse dall'incidente accaduto a un giovane, annegato, durante una festa notturna di compleanno, nella piscina dell'albergo che ospitava il party. È scattato, così, il processo per omicidio colposo a carico dei legali rappresentanti delle aziende che gestivano hotel e ristorazione. Secondo le accuse, sul posto non vi erano né personale addetto alla sorveglianza, né cartelli che vietassero l'uso della vasca.
Ma il tribunale ha assolto i due rappresentanti legali delle aziende perché «il fatto non sussiste»: secondo il giudice, le condizioni del luogo, come la scarsa illuminazione a bordo piscina, rendevano palese la non fruibilità. E i gestori, ha ricordato, sono garanti della sicurezza della struttura «solo nel corso del suo regolare esercizio».
La decisione è stata ribaltata in appello. L'accesso alla piscina, ha precisato la Corte, non era impedito da cartelli di divieto o da «ostacoli fisici all'accesso all'acqua». Gli imputati, dunque, andavano condannati per non aver predisposto servizi idonei a scongiurare la morte del ragazzo.
Il caso arriva così in Cassazione. La vittima – ha affermato la difesa del rappresentante dell'albergo – non era autorizzata a pensare che la vasca fosse in funzione, visto che il fondo non era illuminato e che le pompe di circolazione dell'acqua erano inattive. Nessun addebito, perciò, poteva muoversi al suo assistito, la cui «legittima ignoranza» sull'uso «non consentito» della piscina escludeva la «posizione di garanzia». L'assoluzione era auspicata anche per il responsabile della ristorazione, che per contratto gestiva soltanto i «rischi afferenti al catering, ma non quelli afferenti alla sicurezza degli impianti, né era destinatario di alcuna delega».
La Cassazione distingue e annulla con rinvio solo la condanna del gestore del catering, perché deve essere vagliato il ruolo attivo di compartecipazione nell'organizzazione. I giudici di legittimità confermano, invece, la colpevolezza del titolare dell'albergo: la piscina è «struttura pericolosa» anche nelle fasce orarie in cui non è fruibile, per via di «rischi diversi che vanno diversamente cautelati». Pertanto, se nel corso dell'esercizio va assicurata la presenza di personale di salvataggio, durante l'inoperatività della vasca, il garante – libero nella scelta dello strumento più efficace per gestire il rischio – deve comunque delimitare l'area con apparati idonei a inibire l'accesso.
La Cassazione si allinea così all'orientamento della propria giurisprudenza. In particolare, i giudici richiamano, tra le altre, la sentenza 45698 del 2010, con cui è stato enunciato il principio che integra il reato di omicidio colposo la condotta del direttore di un albergo che non impedisca materialmente ai clienti l'accesso alla vasca negli orari di non esercizio, mentre non rileva la mera affissione di un regolamento di utilizzo, se gli ospiti annegano in piscina facendo il bagno nell'orario non consentito. L'avventato comportamento dell'ospite, aveva affermato la Corte, era «prevedibile» non potendosi prestare affidamento nella «scrupolosa osservanza» delle regole.
Così, anche nel caso esaminato con la sentenza 18569/2013, pur ritenendo «che la vasca non fosse disponibile per l'utilizzazione da parte dei clienti», si configura – dato che mancava qualsiasi presidio di sicurezza – la responsabilità del titolare, quale garante della struttura.
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Corte di Cassazione, Sezione 4 penale

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