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Questo articolo è stato pubblicato il 06 giugno 2013 alle ore 06:42.

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MILANO.
Il «contributo di solidarietà» chiesto alle pensioni che superano i 90mila euro lordi all'anno è illegittimo, e i soldi trattenuti dall'estate del 2011 a oggi vanno restituiti ai diretti interessati.
Con la sentenza 116/2013 depositata ieri, la Corte costituzionale (presidente Gallo, relatore Tesauro) ha assestato un'altra bordata all'architettura incerta dei tagli a stipendi e pensioni più elevate costruita tra 2010 e 2011, mentre la crisi finanziaria cominciava a farsi preoccupante per il nostro bilancio pubblico.
A finire sotto i colpi dei giudici costituzionali questa volta è la prima manovra estiva del 2011, che con l'articolo 18, comma 22-bis ha cominciato a stralciare il 5% della quota superiore a 90mila euro, il 10% di quella oltre 150mila e il 15% della parte sopra quota 200mila euro alle poche migliaia di pensioni che superavano questi livelli annui. La pronuncia è importante ma tutt'altro che inattesa. Il «contributo di solidarietà» previsto per le pensioni era l'estensione di un meccanismo identico introdotto nel 2010 per gli stipendi dei manager pubblici, e cancellato dalla stessa Corte costituzionale nell'ottobre scorso con la sentenza 223/2012 (anche in quell'occasione il relatore fu Giuseppe Tesauro). Già a novembre, del resto, la Corte si era occupata anche del prelievo sulle pensioni più "ricche", con la sentenza 241/2012 che non si era conclusa con una dichiarazione di illegittimità solo per un vizio nel ricorso
Il problema è sempre lo stesso. Il prelievo, ribadisce la Corte costituzionale, ha natura tributaria (lo aveva già spiegato anche nella sentenza 241/2012), perché determina «una decurtazione patrimoniale definitiva del trattamento pensionistico, con acquisizione al bilancio statale del relativo ammontare». Quando si parla di Fisco, però, le richieste devono essere commisurate alla «capacità contributiva» (articolo 53 della Costituzione) dei cittadini, che sono «eguali davanti alla legge» (articolo 3), e non si può distinguere tra tipologie di reddito per penalizzare alcuni o premiare altri.
Proprio qui sta il punto: con i «contributi di solidarietà» che si sono accumulati fra 2010 e 2011, un reddito da 200mila euro lordi si vedeva chiedere 18mila euro se maturati da pensione, 15.500 se guadagnato lavorando in un ufficio pubblico e zero euro se frutto di lavoro privato, perché in quest'ultimo caso il contributo scatta solo oltre i 300mila euro.
Forti di questi argomenti, le sezioni giurisdizionali della Corte dei conti di Lazio e Campania hanno bussato alla porta della Corte costituzionale, certi del risultato finale. Un risultato che alla finanza pubblica costa 84 milioni, cioè i risparmi netti (in termini lordi la cifra è di 150 milioni di euro, ma il contributo di solidarietà lima l'imponibile fiscale) che si sarebbero accumulati fino al termine del 2014, data di scadenza del contributo di solidarietà. Ora l'unico taglio «solidale» sui redditi ancora in piedi è quello introdotto dalla manovra-bis del 2011, che chiede il 3% deducibile (quindi l'1,7% netto) alla quota di reddito superiore ai 300mila euro: da qualsiasi fonte il reddito provenga.
gianni.trovati@ilsole24ore.com
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