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Questo articolo è stato pubblicato il 20 giugno 2013 alle ore 06:46.

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MILANO
A Google non si può imporre un dovere generalizzato di controllo sui marchi utilizzati dai suoi inserzionisti nella sezione AdWords, e pertanto la società americana non è responsabile della pubblicità eventualmente ingannevole caricata dai clienti sul web.
Il Tribunale di Palermo – sezione proprietà industriale, sentenza 2636/13, depositata il 14 giugno – torna sul tema della neutralità (condizionata) del fornitore dei servizi di rete per dirimere una controversia tra noleggiatori di auto sorta nel 2008, protagonisti Maggiore Rent e un player locale, Sicily by Car. Quest'ultimo, utilizzando il servizio di pubblicità a pagamento AdWords (la colonna di destra che si abbina automaticamente ai risultati delle ricerche effettuate attraverso il motore di Mountain View), aveva cercato di "assimilarsi" alla Maggiore inserendo una keyword – in sostanza una parola tracciante per l'algoritmo – identica al marchio del concorrente. In tal modo, ha accertato il perito del tribunale, nei 3 anni e mezzo contestati SbC ottenne 1,5 milioni di visualizzazioni e 31.170 accessi a pagine del proprio sito (360 le transazioni concluse), una piccola parte delle quali (172mila, di cui 91 sfociate in contratti) mediante la tecnica illecita di far emergere anche nel titolo dell'annuncio la parola/marchio del concorrente. In sostanza, ha stabilito il tribunale, per circa 4 mesi i potenziali clienti, pur se navigatori avveduti, sarebbero stati tratti in inganno dalla pubblicità "aggressiva" di SbC.
Se la questione tra concorrenti è stata così agevolmente circoscritta (SbC dovrà rifondere quei 91 contratti da 100 euro "sottratti" a Maggiore, a norma dell'articolo 125 del codice di proprietà industriale), del tutto aperto restava il versante della responsabilità del fornitore di servizi di rete, considerato che, secondo Maggiore, Google era complice di Sicily by Car «per il ruolo attivo e propositivo avuto nel suggerire modalità di campagna pubblicitaria confusorie, parassitarie e ingannevoli». La stessa SbC indicava inoltre Google come unica responsabile dei danni eventualmente provocati dall'inserzione. La Corte palermitana però, in applicazione del decreto legislativo 70/03 (che recepisce la Direttiva Ue sul commercio elettronico) ha ribadito che il fornitore di servizi di rete (Google in questo caso) non ha l'obbligo di controllo preventivo e globale sull'attività dei clienti, ma semmai solo un dovere di azionarsi per disinnescare gli effetti dietro segnalazione dei titolari dei diritti lesi. Cosa che Google, in questo caso, puntualmente eseguì.
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