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Questo articolo è stato pubblicato il 01 luglio 2013 alle ore 06:47.

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Da sabato 22 giugno è in vigore l'articolo 185-bis del Codice di procedura civile, che introduce per la prima volta nel rito civile la «proposta di conciliazione» del giudice. È una novità con efficacia immediata contenuta nel decreto "del fare" (articolo 77 Dl 69/2013), con il quale il Governo ha anche reintrodotto la mediazione obbligatoria dettando diverse modifiche del Dlgs 28/2010: in questo secondo caso, però, le nuove regole entreranno in vigore solo 30 giorni dopo la conversione in legge.
In base alla nuova disposizione, «il giudice, alla prima udienza, ovvero sino a quando è esaurita l'istruzione, deve formulare alle parti una proposta transattiva o conciliativa». Il rifiuto di questa proposta, senza giustificato motivo, «costituisce comportamento valutabile dal giudice».
In questo modo viene inserita nel rito civile per la prima volta non la facoltà, ma il dovere del giudice di formulare una proposta diretta alla soluzione negoziale della controversia. Proposta che viene qualificata transattiva o conciliativa. E questo a prescindere anche dal tentativo di conciliazione che può essere svolto su richiesta congiunta delle parti.
Il legislatore nell'alternativa tra proposta "transattiva" o "conciliativa" ha probabilmente voluto ricomprendere ogni possibile soluzione negoziale derivante da una proposta esterna: il giudice potrà orientare come ritiene più opportuno la sua idea compositiva. Quindi potrà porsi in una prospettiva più strettamente giuridica e perciò connessa al petitum e a ciò che emerge dall'istruzione probatoria e, comunque, fondata su reciproche rinunce delle parti (nel caso della proposta transattiva). Oppure potrà seguire una linea più propriamente conciliativa e quindi formulare una proposta che prescinda dalle reciproce rinunce e tenga in maggior conto degli interessi eventualmente emersi nel tempo.
L'obbligo di prospettare una soluzione negoziale per tutte le liti civili rappresenta una novità dirompente, se si considera che rispetto alla proposta il suo ingiustificato rifiuto costituisce comportamento valutabile dal giudice ai fini della decisione.
Per cui la riforma se da un lato ripristina la mediazione obbligatoria preventiva (soltanto in alcune materie), dall'altro crea un sistema complesso che impone al giudice e alle parti durante il processo, e sin dalla prima udienza, un nuovo approccio alla controversia
Avviato il processo occorrerà in ogni caso fare i conti con una potenziale soluzione conciliativa sia che la stessa emerga da una mediazione stragiudiziale sia che invece provenga dal giudice che poi sarà chiamato a decidere la stessa.
Tutto ciò imporrà al magistrato e alle parti e ai loro difensori una vera e propria rivoluzione culturale. Il giudice dovrà sviluppare una sensibilità tesa a orientare una possibile soluzione negoziale che sinora rimaneva assorbita dalla necessaria ricerca della pronuncia.
Le parti e i loro avvocati dovranno invece rivedere radicalmente le strategie di difesa sin dall'avvio del processo, valutando tutte le opportunità conciliative/transattive e nel corso del giudizio, monitorando passo dopo passo ogni aspetto e contribuendo attivamente a una soluzione anticipata utile a comporre la lite.
Una norma analoga a quella introdotta nei giudizi civili era già vigente nel rito del lavoro (articolo 420, comma 1, del Codice di procedura civile).
Anche questo articolo è stato modificato dal decreto legge 69/2013 ed è stato allineato all'articolo 185-bis prevedendo che la proposta del giudice possa avere oltre che natura «transattiva» anche finalità «conciliativa». Ma a differenza dell'articolo 185-bis, il giudice del lavoro deve prima espletare il tentativo di conciliazione (che nel rito civile è invece disciplinato dall'articolo 185) e deve farlo all'udienza di discussione.
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