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Questo articolo è stato pubblicato il 09 luglio 2013 alle ore 06:46.

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MILANO
Novanta per cento di adesioni. Con un risultato plebiscitario – almeno nelle stime di chi, l'Oua, lo ha indetto – è iniziato ieri mattina il lunghissimo stop "pre-feriale" imposto alla giustizia dallo "sciopero" degli avvocati, programmato fino a martedì prossimo 16 luglio. "Sciopero", tra l'altro, un po' impropriamente visto che non è rivolto contro un datore di lavoro, ma è certo che il ricorso degli avvocati alla astensione delle udienze sta assumendo i contorni di una battaglia sindacale epocale. Il blocco quasi totale delle udienze, comunque, provocherà per paradosso proprio gli effetti che i legali sono i primi a deplorare e a voler combattere: rinvii delle udienze civili alle calende greche, dilatazione dei tempi del processo penale (tra le vittime della serrata anche il naufragio della Concordia), ulteriore drastico peggioramento delle performance del "servizio" giustizia, che già vede l'Italia agli ultimi posti nel mondo.
Questa volta la rabbia dei legali è commisurata alla (asserita) offesa ricevuta, cioè alla reintroduzione - via Dl del Fare - dell'osteggiatissima mediazione obbligatoria, sospesa dalla Corte costituzionale quest'anno (dopo aver dato, peraltro, risultati deludenti) e riproposta in versione riveduta e corretta dal governo Letta. Non abbastanza corretta, però, da chetare la protesta dei legali - che si considerano espropriati di una funzione costituzionalmente protetta: la difesa dei diritti - pronta a esplodere a ogni occasione e convegno pubblico come quando, dieci giorni fa a Napoli, al ministro Cancellieri scappò un labiale poco lusinghiero intercettato dalle telecamere e che scatenò un putiferio istituzionale. L'aver - sempre il ministro - etichettato a stretto giro di posta gli avvocati come «lobby che blocca le riforme» è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso ed esplodere la protesta odierna da guinness di durata.
Una protesta in ogni caso massiccia, che ha radunato dietro all'Oua anche l'Unione delle Camere civili e, tra vari distinguo, pure migliaia di avvocati penalisti che anche senza l'imprimatur ufficiale dell'Unione Camere penali - che ha però inviato una delibera di "diffida" al Presidente della Repubblica, ai presidenti del Senato e della Camera, al premier Letta e allo stesso ministro Cancellieri – già da ieri hanno boicottato udienze in tutt'Italia. Secondo il presidente Oua, Nicola Marino, «è un'astensione per una giustizia dei diritti e dei cittadini, per una vera modernizzazione del settore, per il dialogo, per il rispetto dell'avvocatura e della Costituzione. Non si perda un'altra occasione, cominciamo, intanto, con sciogliere il nodo dei provvedimenti contenuti nel cosiddetto decreto del Fare, innanzitutto stralciando le norme relative alla giustizia». Mentre Andrea Mascherin, consigliere del Cnf, sottolinea l'improcrastinabilità della «emanazione dei parametri, nel pieno rispetto della proposta del Cnf, che rimedia alla vergogna dei parametri in essere e restituisce dignità alle prestazioni professionali».
L'arma dello sciopero/astensione, scoperta solo da una quindicina d'anni, è ormai una costante nel confronto con il Parlamento e con il Governo. Dai tempi del "giusto processo" (fine anni '90) passando per le lenzuolate Bersani (2006) l'astensionismo è stato un inarrestabile crescendo, quasi un marchio di fabbrica del passaggio (e del disfacimento) delle varie Repubbliche. Solo dal 2006, sono stati ben 19 gli ordini di "stop" arrivati dall'Oua, a cominciare dai 6 anti Bersani (lenzuolate), a quello sulla riforma dell'ordinamento giudiziario (2007), ancora a quello pro-riforma dell'ordinamento forense fino ad arrivare al diluvio anti-conciliazione del 2011/12 (nove scioperi). E non è detto che l'astensione "monstre" iniziata ieri sia l'ultima della serie.
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