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Questo articolo è stato pubblicato il 24 luglio 2013 alle ore 07:45.

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Non c'è l'obbligo del carcere per violenza sessuale di gruppo

No alla custodia cautelare in carcere per il reato di violenza sessuale di gruppo quando il caso concreto consenta di applicare misure alternative. Prosegue l'opera di smantellamento della presunzione assoluta di pericolosità che aveva caratterizzato parte dei frequenti (negli ultimi anni) pacchetti sicurezza. Ieri la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità dell'articolo 275, comma 3, terzo periodo, del Codice di procedura penale. La norma bocciata dalla Consulta con la sentenza n. 232, relatore il giudice Giorgio Lattanzi, prevede che quando esistono gravi indizi di colpevolezza per il delitto di violenza sessuale di gruppo si applica unicamente la custodia cautelare in carcere.

Ora la Consulta ha stabilito che, se in relazione al caso concreto, emerge che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte in altro modo, il giudice può procedere diversamente. Nella sentenza, peraltro, la Corte conferma la gravità del reato, da considerare tra quelli più «odiosi e riprovevoli». Ma la «più intensa lesione del bene della libertà sessuale», «non offre un fondamento giustificativo costituzionalmente valido al regime cautelare speciale previsto dalla norma censurata», scrive la Corte.

Richiamando anche precedenti decisioni la Consulta ricorda come «la disciplina delle misure cautelari debba essere ispirata al criterio del minore sacrificio necessario: la compressione della libertà personale deve essere, pertanto, contenuta entro i limiti minimi indispensabili a soddisfare le esigenze cautelari del caso concreto. Ciò impegna il legislatore, da una parte, a strutturare il sistema cautelare secondo il modello della "pluralità graduata", predisponendo una gamma di misure alternative, connotate da differenti gradi di incidenza sulla libertà personale, e, dall'altra, a prefigurare criteri per scelte "individualizzanti" del trattamento cautelare».

Nel caso specifico, la presunzione non si giustifica neppure facendo riferimento al carattere plurisoggettivo della violenza sessuale di gruppo. Il confronto con la forza del legame di associazione mafiosa è, infatti, improprio, vista la diversa intensità in termini di intimidazione e assoggettamento di quest'ultima. In generale, nella riflessione della Corte, le presunzioni assolute, soprattutto quando limitano un diritto fondamentale della persona, violano il principio di eguaglianza, se sono arbitrarie e irrazionali, cioè se non rispondono a dati di esperienza generalizzati; inoltre l'irragionevolezza della presunzione assoluta si può cogliere tutte le volte in cui è "agevole" formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa.

LA SENTENZA
Deve, pertanto, concludersi che la norma censurata è in contrasto sia con l'articolo 3 Costituzione, per l'irrazionale assoggettamento ad un medesimo regime cautelare delle diverse ipotesi riconducibili alla fattispecie in esame e per l'ingiustificata parificazione dei procedimenti relativi al delitto di violenza sessuale di gruppo a quelli concernenti delitti caratterizzati dalla "struttura" e dalle "connotazioni criminologiche" tipiche del delitto di cui all'articolo 416-bis codice penale; sia con l'articolo 13, primo comma Costituzione, quale referente fondamentale del regime ordinario delle misure cautelari (...)
Corte costituzionale, sentenza n. 232/2013

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