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Questo articolo è stato pubblicato il 26 luglio 2013 alle ore 06:45.

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In quali casi si può applicare in Italia l'abuso del diritto? La domanda torna d'attualità dopo la pronuncia della Cassazione secondo cui le transazioni infragruppo possono essere rettificate dal fisco applicando il valore normale anche se le aziende sono nazionali (si veda «Il Sole-24 Ore» di ieri). Negli ultimi anni sono numerosissime le sentenze di legittimità che ritengono l'abuso del diritto retroattivo ed estensibile alle più svariate fattispecie.
Di fatto, oggi, si ha la sensazione che quando l'amministrazione intuisca che il contribuente ha effettuato un'operazione non particolarmente lineare, senza però riuscire a trovare alcun elemento di riscontro per censurarla, si ricorra all'abuso del diritto quasi fosse l'extrema ratio per far valere le ragioni erariali. Analogo atteggiamento sembra emergere dai giudici di legittimità.
In tale contesto si ricorda la sentenza della Cassazione n. 2193/12, secondo la quale l'esistenza nell'ordinamento tributario del generale divieto di abuso del diritto, consente il disconoscimento degli effetti di qualunque negozio posto in essere solo per vantaggi fiscali anche se, al tempo della violazione, la norma ad hoc non esisteva in quanto introdotta successivamente.
Nel solo 2013, l'abuso è stato configurato nel ripiano della perdita della partecipata e la successiva cessione della quota di partecipazione con determinazione di una minusvalenza (sentenza n. 4901/2013) ed ancora nell'acquisto separato ma contemporaneo di un'azienda agricola e di terreni adiacenti, da sottoporre entrambi a registro e non, come aveva fatto il contribuente, assoggettando le vendita dei terreni ad Iva (sentenza 1405/2013)
"Abusivi" secondo l'amministrazione e i giudici di legittimità sono pure alcuni atti di cessione immobiliare da una persona fisica ad una società e i successivi passaggi societari (ordinanza n. 2234/2013). Si è giunti addirittura ad invocare l'abuso del diritto per giustificare la legittimità dell'iscrizione ipotecaria di Equitalia sui beni immobili iscritti in un fondo patrimoniale del contribuente (sentenza n. 7239/2013). Da ultimo (sentenza 17956/2013) è stato ritenuta "abusiva" anche la cessione separata di un'azienda rispetto alle rimanenze, nonostante tutto sia avvenuto sotto l'egida del giudice in una procedura fallimentare.
Addirittura la Cassazione penale (sentenza n.26723/2011) non esclude che il comportamento "abusivo" sia addirittura penalmente rilevante, nonostante il medesimo comportamento (sempre a legislazione immutata) alcuni anni fa fosse del tutto corretto e non censurabile neanche amministrativamente.
A fronte di tutte queste pronunce, occorre peraltro segnalare alcune (isolate) posizioni di "coraggiosi" giudici di merito, secondo i quali non è applicabile l'abuso almeno per i tributi non armonizzati in quanto solo l'intervento del legislatore, con l'introduzione di una norma positiva identificatrice di uno specifico presupposto d'imposta, può autorizzare l'interprete ad utilizzare il principio di capacità contributiva (sentenza Ctp Reggio Emilia n.140/3/2013).
È evidente che quanto successo negli ultimi anni in materia deve far riflettere sulla necessità che in un ordinamento come il nostro, caratterizzato dalla codificazione delle norme, chi è chiamato ad interpretare le leggi debba attenersi il più possibile alla lettera delle disposizioni. Differentemente, l'incertezza degli operatori, e con essa la sfiducia in un sistema così strutturato, è quasi garantita.
Forse un intervento significativo del legislatore è ormai indifferibile. In caso contrario, il rischio è che "codifichi" chi, invece, deve interpretare.
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Le tappe
01 | L'ABUSO NON ESISTE
All'inizio la Cassazione (sentenze 3979/2000, 11351/2001, 3345/2002) qualificava come elusivi solo i comportamenti che tali erano definiti da una legge dello Stato vigente nel momento in cui sono stati posti in essere. Mancando disposizioni ad hoc, il comportamento con l'esclusivo fine di conseguire risparmio d'imposta non poteva considerarsi elusivo
02 | L'ABUSO È FRODE
L'abuso ha la prima affermazione nel 2005 in alcune sentenze della Cassazione (20816, 20398, 22932) secondo cui, anche in assenza di strumenti anti-abuso, il giudice deve ritenere nulle, per difetto di causa o per frode alla legge, certe operazioni col solo scopo di risparmio
d'imposta ( dividend washing
e dividend stripping)
03 | LA CORTE UE
La Corte di Giustizia Ue utilizza nel 2006 la nozione di abuso del diritto (caso Halifax C-255/02), ma la pronuncia riguardava l'Iva (tributo armonizzato in ambito Ue)
04 | L'IVA ANCHE IN ITALIA
La Cassazione (sentenze 10353, 21221, 22023 e 25612 del 2006, 10273/2007, 8772, 10257) dopo l'intervento della Corte Ue applica per l'Iva la nozione del caso Halifax
04 | L'ABUSO ESISTE
Le Sezioni Unite (30055, 30056, 30057 del 2008) confermano che c'è una "clausola antielusiva non scritta" ma ne modificano la fonte: non più l'ordinamento Ue ma la Costituzione. L'abuso del diritto positivo è una molteplicità di atti posti in essere solo per ottenere il risparmio fiscale. Il fisco deve individuare e precisare l'impiego formalmente corretto ma elusivo della forma giuridica scelta per l'operazione, senza fermarsi a generiche e standardizzate affermazioni (10257/2008)
05 | LE VIE DI USCITA
Un disegno di legge ad hoc mai approvato, e, successivamente la delega fiscale provano, in qualche modo, a introdurre una norma precisa

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