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Questo articolo è stato pubblicato il 29 settembre 2013 alle ore 08:42.

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Tra le (tante) ragioni di complessità del sistema tributario si può annoverare quella rappresentata dai termini a disposizione dell'amministrazione finanziaria per controllare i contribuenti. Tali termini decadenziali non sono infatti stabiliti in modo unitario, bensì fissati in misura differente in ragione di una molteplicità di fattori e il sistema messo in atto si può prestare a un significativo conflitto con la Statuto del contribuente: a seconda del tipo di imposta (i termini dettati in materia di imposta di registro sono diversi da quelli per Iva e redditi), del tipo di censura (ad esempio, nell'imposta di registro, questo può comportare l'applicazione di termini da due a cinque anni) ovvero della metodologia di controllo impiegata (nelle imposte dirette, si hanno termini diversi a seconda che si tratti di una liquidazione, di un controllo formale ovvero di un accertamento in rettifica o di ufficio).
In un simile panorama, di per sé già assai complesso, non mancano poi i regimi derogatori, dove sono previsti termini ad hoc (più lunghi) per far fronte a violazioni ritenute particolarmente insidiose: è il caso, ad esempio, degli avvisi di recupero in tema di indebito utilizzo in compensazione dei crediti inesistenti (8 anni); dell'accertamento avente ad oggetto le somme confluite in attività di natura finanziaria, detenute nei Paesi a regime fiscale privilegiato in violazione degli obblighi di compilazione del quadro RW, rispetto cui opera una particolare presunzione di evasione (8 o 10 anni); con riferimento alle violazioni comportanti l'obbligo di denuncia per reati tributari, dove è analogamente previsto il raddoppio dei termini di accertamento con riferimento al periodo d'imposta in cui l'illecito è stato commesso (ossia 8 o 10 anni a seconda che si tratti di accertamento in rettifica o d'ufficio). Senza dimenticare, infine, le proroghe dei termini introdotte per far fronte a situazioni particolari, come accaduto nei confronti dei contribuenti che non si sono avvalsi dei condoni di cui alla legge n. 289/2002. Questa varietà di soluzioni, con ogni evidenza, rappresenta un fattore di estrema complessità del sistema ma anche, inevitabilmente, d'incertezza per il contribuente, costretto inoltre a conservare le scritture contabili fino a quando non sono definiti gli accertamenti relativi al corrispondente periodo d'imposta (articolo 22 Dpr n. 600/73) e quindi, in ogni caso, fin tanto che non è decorso il termine a disposizione dell'amministrazione per compiere il controllo. Peraltro, la decadenza dell'Amministrazione finanziaria non può essere rilevata d'ufficio dal giudice, ma deve essere dedotta dal contribuente in sede giudiziale (Cassazione n. 20259/2013). In questo quadro, s'inserisce - da ultimo - la circolare n. 31/E/2013, dove, a fronte di importanti aperture ai contribuenti per la correzione di errori nella compilazione delle dichiarazioni, l'Agenzia precisa che i termini di accertamento debbono essere riferiti, non alla dichiarazione oggetto di correzione, bensì a quella integrativa, con cui viene fatta valere l'eccedenza d'imposta risultante a seguito della riliquidazione. Sennonché, tale soluzione, pur comprensibile, desta qualche perplessità in punto di fondamento normativo e, quindi, di legittimità. Perché, se è vero che la soluzione dell'Amministrazione si giustifica in una prospettiva di bilanciamento tra la possibilità per il contribuente di riliquidare le dichiarazioni e la pienezza dei poteri di controllo, non di meno oggetto di un (eventuale) controllo non sarebbe tanto la dichiarazione rettificativa, quanto piuttosto quella riliquidata dal contribuente, giacché è (solo) rispetto a questa che possono essere verificate le condizioni legittimanti la rilevanza fiscale degli elementi "rigenerati". Di fatto, si ipotizza quindi un allungamento dei termini di accertamento. Se così è, tuttavia, diviene allora inevitabile sollevare il dubbio di un possibile conflitto con l'articolo 3 dello Statuto dei diritti del contribuente, laddove espressamente (e con norma di rango legislativo) si vieta la proroga dei termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti d'imposta.
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