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Questo articolo è stato pubblicato il 19 ottobre 2013 alle ore 09:54.

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Flessibilità in entrata da potenziare, ma anche per l'apprendistato ci sono margini di miglioramento.
Tra i professionisti, imprenditori e responsabili delle risorse umane presenti a Tuttolavoro un'ulteriore semplificazione del primo contratto sarebbe salutata con soddisfazione.
Brunello Barontini, consulente del lavoro con studio a Milano, concorda pienamente con quanto proposto dall'avvocato Toffoletto nel suo intervento: in entrata sarebbe più che sufficiente un contratto a tempo indeterminato senza applicazione dell'articolo 18 e definizione di un preavviso di recesso per i primi due anni. Una "provocazione" condivisa da Oscar Biasion, imprenditore nel settore dei servizi. «Con le regole attuali per far partire un'impresa si devono avere già tutte le risorse. Non c'è la possibilità di crescere un passo alla volta in base all'andamento dell'attività». Una soluzione di questo tipo, secondo l'imprenditore Marco Cresti determinerebbe un incremento occupazionale. «Però si dovrebbe intervenire ulteriormente sulla flessibilità in uscita che oltre a sanzionare gravi aspetti disciplinari dovrebbe riguardare anche i casi di scarso rendimento».
«A livello di flessibilità – afferma Lucia Magarotto, dell'ufficio del personale di Belron Italia, costola della multinazionale inglese ai vertici mondiali nella riparazione e sostituzione dei cristalli delle automobili – l'ideale sarebbe poter sottoscrivere sempre un contratto a termine acausale alla luce anche della stagionalità del nostro core business, in cui i picchi di personale si registrano soprattutto d'inverno».
Altro tema "caldo" è l'apprendistato, su cui emergono considerazioni differenti. Per Barontini «il più delle volte le aziende sono contrarie alla formazione erogata fuori rispetto a quella dentro l'azienda, che ritengono inutile in quanto non tarata sulle specifiche necessità dell'impresa». Elisabetta De Luca, responsabile della selezione e dello sviluppo di una Pmi operante nel turismo, evidenzia, però, che l'istituto spesso viene malvisto dai candidati: «È un contratto difficile da vendere in fase di selezione perché viene considerato dai lavoratori, in particolare dai laureati, come una diminuzione e una soluzione precaria per via dei primi tre anni. Dal punto di vista dell'impresa, invece, è complesso da attuare, richiede tempi lunghi e per aziende come le nostre, che hanno sedi in più regioni, obbliga a confrontarsi con normative diverse».
Un ambito caratterizzato da una grande confusione per Mario Palermo, consulente di formazione e socio dello studio Meta Formazione di Gussago (Bs). «Nell'apprendistato osservo che c'è molta confusione. Per quanto mi riguarda ritengo che dal punto di vista burocratico la normativa che lo qualifica non sia semplicissima ma neppure, per così dire, inavvicinabile se l'azienda è motivata a effettuare assunzioni con questa modalità».
Quanto agli ammortizzatori sociali, invece, c'è l'impressione che l'attuale sistema non sia alla lunga sostenibile e che in linea generale bisognerebbe spostare almeno in parte il peso delle risorse in materia di lavoro dalla politiche passive, ora dominanti, a quelle attive. Tanto più che talvolta si ha l'impressione che la Cig in deroga in particolare venga utilizzata per comprimere costi anche in realtà in cui chi rimane al lavoro deve sobbarcarsi il doppio del carico.

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