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Questo articolo è stato pubblicato il 19 novembre 2013 alle ore 08:46.

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«L'atto di citazione è stato consegnato al portiere, quindi non è valido». C'è anche questo argomento fra i tentativi di difesa che gli avvocati degli ex vertici dell'Anas hanno portato avanti per fermare la condanna per danno erariale per una «consulenzopoli» fiorita nel 2004-2007 intorno alla società delle strade e autostrade. Tentativi falliti.

La condanna è arrivata per mano della Corte dei conti del Lazio, che ha riconosciuto colpevoli per danno erariale l'ex presidente Anas, Vincenzo Pozzi, e il "suo" direttore generale, Francesco Sabato, insieme ad altri dirigenti della società: condanne da 1,6 milioni di euro in tutto, in larga parte sulle spalle di Sabato (1,28 milioni) e Pozzi (300mila euro). Pozzi era già incappato nei magistrati della sezione giurisdizionale del Lazio, che per un'altra vicenda di consulenze l'avevano condannato a 700mila euro, ridotti nel luglio scorso in appello a 175mila: quegli incarichi, però, erano costati all'Anas qualcosa come 15 milioni.

La nuova girandola di consulenze, finita sui tavoli della Corte dei conti dopo una relazione puntuta scritta dagli ispettori della Ragioneria generale dello Stato, vale invece almeno 4 milioni di euro. Interessante il meccanismo messo in piedi dalla società stradale, con cui sono state esternalizzate senza gara attività «generiche e indeterminate», che si traducevano però in compensi precisi e ripetuti.

Il punto di partenza è quasi abituale nelle storie di consulenze che arrivano sotto gli occhi della Corte dei conti, ed è rappresentato dall'affidamento di incarichi che potevano benissimo essere svolti all'interno dell'azienda pubblica. L'Anas, però, fa di più: nel marzo del 2003, per esempio, comincia a firmare contratti con una società che avrebbe dovuto verificare la manutenzione delle strade in Piemonte, Emilia Romagna e Lazio ma che, al tempo dei primi incarichi, nemmeno era iscritta al registro delle imprese.

Da dove arrivi «l'esperienza» e «l'alta professionalità» che possono giustificare le consulenze pubbliche, secondo i magistrati resta un mistero. Sin dalla nascita, infatti, le fortune di quella società sono state legate a filo doppio all'Anas, che dal 2003 al 2006 le ha fornito più del 95% delle entrate totali. Ovvio che con questo curriculum la società beneficiata da Pozzi e Sabato non potesse fare molto, e si limitasse quindi a produrre «mera reportistica» delle attività svolte dalla Direzione lavori. Altri gruppi di contratti hanno riguardato semplici funzioni amministrative, che ovviamente erano di competenza degli uffici della società.

A moltiplicare le spese era però il meccanismo «a ripetizione» che caratterizzava gli incarichi. I contratti iniziali duravano pochi mesi, ma riguardavano «attività di tipo continuativo e periodico» e quindi contenevano al proprio interno la «clausola di tacito rinnovo»: una volta aperto, quindi, secondo i magistrati il filone diventava praticamente inesauribile.

Di qui le condanne pronunciate dai magistrati, che sono arrivate in porto anche se l'Anas è una società per azioni e quindi, secondo i suoi difensori, estranea al giudizio della Corte dei conti (le sentenze che in passato hanno colpito la Rai e altre aziende pubbliche hanno mostrato che l'argomento era debole); e anche se l'atto di citazione era stato consegnato al portiere.

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