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Questo articolo è stato pubblicato il 23 gennaio 2014 alle ore 17:49.
L'ultima modifica è del 23 gennaio 2014 alle ore 17:53.

Ha agito in modo corretto il ministero della Giustizia quando, nel dicembre 2012, ha sciolto il Consiglio nazionale dei commercialisti, ha deciso di inviare un commissario, ha revocato il provvedimento che ha indetto le elezioni del 15 ottobre, ha sciolto la commissione elettorale e ha fissato il voto per il 20 febbraio 2013.
Il Consiglio di Stato, con la sentenza 278/2014 depositata ieri, a distanza di 13 mesi, mette la parola fine sui ricorsi amministrativi proposti dall'ex presidente del Consiglio nazionale Claudio Siciliotti, insieme con una quindicina di colleghi, contro il ministero della Giustizia e, di riflesso, contro Gerardo Longobardi, leader della lista «Insieme per la professione». Nelle elezioni del 15 ottore, la compagine «Vivere per la professione», guidata da Siciliotti, aveva prevalso per cinque voti su «Insieme per la professione», ma subito il risultato è stato travolto da contestazioni, sfociate in procedimenti penali e nel contenzioso amministrativo.
Ora, dopo la pronuncia del Consiglio di Stato la parola torna al ministero della Giustizia, che dovrà decidere se rimettere in moto la procedura elettorale fissata per il 20 febbraio 2013 o se avviare daccapo l'iter di voto. Una decisione che non potrà essere assunta fino a quando la sentenza non sarà inviata dal Consiglio di Stato a Via Arenula, come conferma il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri, e potrebbe volerci qualche giorno.
Il ministero dovrà anche decidere quale sia la mappa corretta del voto, dopo la riforma delle geografia giudiziaria, che ha cancellato alcuni Tribunali (e ciò porterà alla soppressione dei relativi Ordini) e che ha ridisegnato i confini per alcune sedi (in questo caso cambierà, con la perdita o con l'acquisizione di iscritti, il peso elettorale). Quindi, bisognerà stabilire se la tornata elettorale dovrà essere preceduta dalla nuova geografia degli Ordini o se si potròà prescindere, con il rischio – però – di preparare il terreno a nuovi ricorsi. Tutto questo è lo scenario che si apre da oggi.
Rispetto a ieri la cronaca deve registrare le parole del Consiglio di Stato che ha sintetizzato una vicenda complessa in tre violazioni: «1) il trasferimento fittizio e strumentale del dottor Sganga; 2) l'adozione ed esecuzione della modifica regolamentare in assenza dell'approvazione del ministero; 3) l'omessa vigilanza sulle dimissioni dei presidenti di consigli territoriali dell'Ordine che avrebbero dovuto condurre al relativo immediato commissariamento degli organi collegiali prima delle elezioni». La sintesi potrebbe essere giudicata semplicistica, visto che il trasferimento «fittizio» di Giorgio Sganga, componente della lista di «Insieme per la professione» è stato contestato dalla Procura di Aosta, riconosciuto da una sentenza di Tribunale e sostanzialmente dal ministero della Giustizia e dal Tribunale amministrativo. Nella lista «Insieme per la professione», caduta la «casella» di Aosta sarebbe venuta a mancare la rappresentatività territoriale richiesta dal decreto legislativo 139/2005.
Tuttavia, alla luce del Tar e del Consiglio di Stato, le elezioni sono state macchiate da «gravi violazioni» del vecchio Consiglio nazionale: in particolare la mancata vigilanza su Bari ed Enna, dove le dimissioni dei presidenti avrebbero dovuto essere segnalate al ministero per il commissariamento. Non importa – dice il Consiglio di Stato – che ai consiglieri in regime di prorogatio fosse possibile esprimere il voto. Soprattutto, il Consiglio nazionale, chiamato a esprimersi sul ricorso della Procura di Aosta su Sganga, ha cambiato il regolamento di voto per "sfuggire" al conflitto di interesse, ma la riforma è avvenuta senza rispettare la procedura, senza cioè darne comunicazione al ministero che avrebbe dovuto approvarla. Nella sostanza il quorum è stato raggiunto con la presenza e l'astensione di chi era in conflitto di interesse e la delibera è stata votata da quattro consiglieri su 21. Da qui, secondo il Consiglio di Stato, è corretta la decisione del ministero della Giustiza che «non ha annullato le elezioni ma revocato il decreto di convocazione dei consigli locali per l'elezione del Consiglio nazionale e lo ha fatto prima che gli esiti elettorali fossero proclamati» per «non lasciare in piedi attività comunque prodotte e gestite da quel Consiglio che si era deciso di sciogliere».
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