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Questo articolo è stato pubblicato il 03 marzo 2014 alle ore 06:42.

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di Gianfilippo Scifoni Via libera al merger leveraged buy-out (Mlbo) se a condizioni di mercato. Lo ha affermato la commissione tributaria provinciale di Milano che, con la sentenza 1527/1/14 depositata il 14 febbraio scorso, è tornata a occuparsi delle fusioni con acquisizione a seguito di indebitamento. Si tratta di operazioni spesso contestate come elusive dal Fisco, sulla base della convinzione che si risolvano nel depauperamento della società bersaglio (target) cui vengono, in sostanza, accollati gli oneri finanziari scaturenti dal finanziamento contratto per acquisirla.
Il meccanismo
Queste operazioni, nella loro conformazione tipica, vedono protagonisti fondi di private equity (talvolta non residenti) interessati ad acquisire una società. In pratica, il leveraged buy-out consente la scalata societaria, limitando l'impiego di mezzi propri grazie al ricorso all'indebitamento. Nel dettaglio, il fondo costituisce un veicolo societario ad hoc (newco) o ne utilizza uno preesistente per acquisire la società obiettivo. La newco accende finanziamenti bancari per procurarsi la provvista necessaria all'acquisizione della target e, nella maggior parte dei casi, offre in pegno le azioni della target. Ad acquisizione avvenuta, si procede alla fusione della newco nella target con lo scopo principale di avvicinare l'indebitamento ai flussi di cassa: i finanziamenti a suo tempo accesi vengono, infatti, rimborsati con le risorse prodotte dalla target.
Si tratta di una tecnica di acquisizione societaria da anni pienamente legittimata sotto il profilo giuridico. È infatti regolata dall'articolo 2501-bis del Codice civile, inserito dalla riforma del diritto societario operata nel 2003-2004.
La pronuncia
La sentenza della Ctp di Milano è particolarmente interessante sotto diversi profili. I giudici di merito hanno, infatti, dato risalto a una serie di elementi che deponevano chiaramente in favore dell'assenza di elusività nella fattispecie sottoposta al loro giudizio, tra i quali il fatto che l'operazione fosse avvenuta:
- tra soggetti terzi, tra loro indipendenti;
- rispettando le condizioni di mercato;
- senza l'utilizzo di strutture societarie o enti localizzati in paradisi fiscali;
- e realizzando il risultato del mutamento degli assetti societari («change of control»). Tali elementi sono stati ritenuti di per sé sufficienti a provare l'assenza di elusività dell'operazione.
Tra l'altro, già la Ctr Lombardia, con la sentenza 36/34/2011, aveva ritenuto che l'assenza di elusività rispetto a un'operazione di merger leveraged buy-out ricorre in ogni ipotesi di rinnovo della compagine societaria, anche se la quota che si acquisisce non è di maggioranza.
Inoltre, la pronuncia della Ctp del 14 febbraio ha riconosciuto – sconfessando il teorema dell'Ufficio – la non praticabilità dell'operazione alternativa ipotizzata dai verificatori, vale a dire l'acquisto diretto della società target da parte del fondo. I giudici hanno così tenuto conto delle caratteristiche tipiche di tali investitori istituzionali, che attuano una netta segregazione degli investimenti e sono soliti operare con veicoli ad hoc. Si tratta di un modo di operare che viene anche incontro alle ragioni delle banche creditrici, che così hanno l'assicurazione che il finanziamento da loro erogato sia esclusivamente utilizzato per acquistare la target i cui flussi di cassa saranno destinati al rimborso.
La Ctp ha così annullato la ripresa a tassazione degli interessi passivi derivanti dall'operazione di leveraged buy-out, che l'Ufficio aveva considerato indeducibili.
La prospettiva
A fare una volta per tutte chiarezza in merito alla deducibilità degli interessi passivi dovrebbero ora intervenire i decreti attuativi della delega fiscale. La legge detta infatti uno specifico criterio direttivo indirizzato proprio a revisionare la disciplinadegli interessi passivi, specificando e precisando il concetto di inerenza.
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